giovedì 30 settembre 2010

La Valle d’Aosta solidale con Haiti

Haiti torna a essere protagonista ad Aosta. Sabato 2 ottobre il gruppo ProgettoMondo Mlal Aosta presenterà infatti il progetto di ricostruzione “Scuole per la rinascita”, avviato a Léogane dalla nostra organizzazione subito dopo il terremoto del 12 gennaio scorso. In occasione della festa regionale del volontariato, in programma tra il 30 settembre e il 3 ottobre, la situazione dell’isola caraibica sarà quindi al centro dell’attenzione – per un'intera serata - tramite una serie di video e di scatti a documentare le condizioni di vita raccontate dal nostro capoprogetto sull’isola, Nicolas Derenne, con una video intervista che verrà proiettata alle 20.30 alla Cittadella dei giovani.
Bambini che non dormono o hanno difficoltà di concentrazione e nelle relazioni, che vivono in contesti familiari completamente distrutti. Una situazione - quella descritta - che rende chiara la necessità di ricostruire un Pese da zero da tutti i punti di vista, al di là delle case, delle scuole, degli edifici e delle strade che non ci sono più.
Quella a cui punta il nostro programma è una ricostruzione di qualità, basata su una progettazione che tenga conto delle condizioni psicofisiche di bambini, insegnanti e genitori. E con loro lavorare perché Haiti, paese tra i più poveri al mondo già prima della catastrofe, sfrutti ora quel drammatico 12 settembre come punto di partenza per un futuro che sia davvero migliore.
Una manifestazione, quella organizzata ad Aosta dal Centro Servizi Volontariato in collaborazione con una serie di enti locali, che intende offrire al mondo delle istituzioni e alla comunità intera occasioni concrete di riflessione, approfondimento e confronto sui temi dell’impegno e della solidarietà. Questo affinché la comunità, in questo caso valdostana, sia sempre più consapevole e solidale.

mercoledì 29 settembre 2010

Danila Pancotti: una solidarietà premiata

Per il suo spirito di solidarietà in aiuto dei più deboli, per le sue attività a sostengo di donne e uomini immigrati e per il suo impegno constante a favore delle persone disagiate nei vari paesi del sud del mondo”. Per questo la Consulta Immigrazione e Mondialità del Comune di Piacenza, martedì 28 settembre, ha voluto assegnare il premio Nada 2010 a Danila Pancotti, già volontaria di ProgettoMondo Mlal in Brasile e in Ecuador e oggi referente di ProgettoMondo Mlal Piacenza. Danila che, come scritto nella motivazione del premio, “giorno per giorno, con semplicità, entusiasmo e tenacia, porta avanti le sue attività senza mai tralasciare di valorizzare e fortemente coinvolgere gli immigrati presenti sul territorio piacentino”, è inoltre impegnata sul territorio con le scuole, le associazioni, e i numerosi banchetti di solidarietà che organizza. Tramite la sua partecipazione attiva al Tavolo della Pace, la volontaria originaria di Rivergaro, partecipa poi a progetti di sensibilizzazione dei giovani piacentini, che più di una volta ha accompagnato alla scoperta del Brasile, insieme agli amministratori locali.

Giunto alla settima edizione, il premio ha lo scopo di valorizzare l’operato delle donne a favore di uomini e donne immigrati in difficoltà alle prese con l’inserimento nel nuovo paese. Vuole essere un riconoscimento morale a chi, come Danila, con gratuita e continuità contribuisce a rendere migliore la nostra società sempre più multiculturale.

lunedì 27 settembre 2010

Memoria per vivere: conoscere il passato per costruire il futuro

Accomarca, Lucanamarca, Putis, Totos, Ucchuraccay, Socos, los Cabitos, Huanta, Chuschi, luoghi dell’orrore, luoghi del truculento risveglio dal sonno della ragione, luoghi di straordinaria follia, luoghi di ordinaria tragedia.
Il rapporto della Commissione della Verità e Riconciliazione (CVR) in Perù, nell’agosto del 2003, ha registrato 69,280 vittime del conflitto armato interno, nel periodo che va dal 1980 - giorno della prima incursione di Sendero Luminoso a un seggio elettorale di Cuschi (provincia di Cangallo, regione Ayacucho) e della dichiarazione di “Guerra Popolare” - fino al 2000, anno in cui si dichiara sconfitto militarmente il gruppo terrorista principale.
Fino a quella gelida e raccapricciante cifra, tutti gli opinionisti nazionali, compresi i movimenti di difesa dei diritti umani e i vari osservatori sulla violenza, che registravano giornalisticamente tutti gli attentati o violazioni che quotidianamente avvenivano, parlavano di una sequela di morti di 25mila vittime e 3mila desaparecidos. Il rapporto della CVR ha rappresentato un avviso di garanzia alla democrazia peruviana fallita, ricordando che il conflitto nacque e si sviluppò, tra sangue e terrore, durante governi eletti democraticamente (Belaunde, García, Fujimori), almeno fino all’autogolpe di Fujimori del 1992, poi “legittimato” nel 1995, e comunque a guerra già con parabola discendente.
Yuyanapaq”, il programma che ProgettoMondo Mlal, grazie a un cofinanziamento dell’Unione Europea, sta realizzando nella regione di Ayacucho con i partner peruviani IPEDEHP ed EPAF, significa per ricordare, in lingua quechua. La lingua del popolo maggiormente colpito dall’insania, torturato nell’essenza intima, in permanente transito tra la modernità e l’arcaismo. Un progetto che ha come elemento fondante la memoria quindi: quella di un popolo, persone, famiglie e di un’intera nazione. Tante memorie singolari, di vedove, di orfani, di torturati, di stuprate, di sfollati e loro parenti che, tutti insieme, formano una sola memoria collettiva. Una memoria collettiva che tuttavia non è la somma delle memorie individuali, ma una grande storia.

Lo scorso agosto è stato celebrato il settimo anniversario della consegna ufficiale del rapporto della CVR, in una piazza d’armi di Huamanga pullulante di organizzazioni di vittime della violenza, giunte da ogni angolo della regione. In molti confessavano di non aver mai visto prima tanta gente radunata, con uno spirito di unità così esplicito, con un riconoscimento ufficiale di questo desiderato risarcimento, che comprende anche il fare giustizia sui casi di violazione dei diritti umani. La presenza dei tre parlamentari eletti nel collegio ayacuchano - Elizabeth León, Juana Huancahuari, José Urquizo - ha testimoniato che la richiesta di giustizia è un tema aperto e attuale. Per la prima volta il Governo Regionale ha sponsorizzato molti degli eventi commemorativi, dando un altro segnale di questa riconciliazione in cammino. La parola dei familiari delle vittime – spesso a loro volta vittime – ha lanciato segnali di ottimismo e richieste: non elemosina, ma giustizia.
Una giornata stupenda, con uno sfondo architettonico melanconico ma vivido, un paesaggio asciutto, arso, come le centinaia di volti dei presenti: paesaggio naturale e umano in piena simbiosi, con una cultura così radicata e profonda che appare quasi intangibile. Quasi, perché la cultura è in costante movimento, dinamica, calata nella realtà e da essa trasformata, gradualmente.

Il progetto Yuyanapaq intende partecipare e sostenere il processo di risarcimento e riconciliazione, attraverso due grandi filoni di attività. Prima di tutto la ricostruzione della memoria dei desaparecidos, con la registrazione di schede ante mortem, che solo in Ayacucho hanno già superato la cifra dei 3200. Ciò indica una verità semplice: che le vittime sono di gran lunga superiori alle cifre già elevatissime della CVR. Forse non avremo mai una cifra definitiva, ma l’ordine di grandezza è da guerra civile. Il numero di fosse comuni, luoghi di sotterramento delle prove dell’orrore, è imprecisato: si parla di due, tre mila, nelle regioni di maggiore vittimizzazione. Ma casi emblematici, come quello di Putis, comunità rurale alto andina dove sono stati ritrovati 92 corpi, di cui almeno 58 di bambini non più grandi di 13 anni, trucidati dall’esercito nel 1984, e che fanno parte del registro che il progetto sta contribuendo ad allestire. La costruzione della memoria continua poi con la restituzione alle famiglie e comunità che hanno dato la testimonianza delle schede o degli oggetti recuperati, in cerimonie di commemorazione. Eventi di catarsi, di lutto, di dolore, ma anche di liberazione.
La seconda linea del progetto è invece rappresentata dal rafforzamento dell’azione delle organizzazione delle vittime della violenza per la partecipazione in azioni di incidenza e lobbying, per l’applicazione delle politiche di risarcimento, in base all’attuale normativa, frutto delle raccomandazioni della CVR. Ad Ayacucho la rete di organizzazioni di vittime della violenza è stata sempre frammentata, per via di piccoli opportunismi di leaders con scarsa visione di futuro, ma anche per la mancanza di una vera e propria prospettiva di riconciliazione. Questa situazione negli ultimi anni ha iniziato a modificarsi, anche grazie a un contesto normativo che, seppur pieno di limiti e con una volontà politica sottostante ambigua, sta offrendo un barlume di speranza: quella del risarcimento. Il CORAVIP è il coordinamento regionale di questa rete che vede affiliate almeno 70 organizzazioni locali, distribuite nell’intera regione di Ayacucho, e che sta riuscendo a mettere insieme volontà e idee per una partecipazione più solida e capace di mobilitare le migliori energie della società ayacuchana. Il progetto sta contribuendo sicuramente a questo consolidamento, anche grazie a un percorso formativo, sul tema dei diritti umani e della leadership democratica, che offre strumenti concreti di gestione organizzativa.
Ma uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro è di sicuro la partecipazione a un processo che coinvolge attori ayacuchani, pubblici e privati, e che intende collocare al centro dell’agenda politica il tema della verità e riconciliazione, la difesa dei diritti umani, la costruzione della pace. Ed è questo movimento per i diritti umani in Ayacucho - per il quale nel 2010 il Governo Regionale ha finanziato l’ultimazione del censimento per il Registro Único de Víctimas (RUV) - che costituisce la base tecnica e legale per accedere ai benefici futuri delle richieste di risarcimento. PM, EPAF e IPEDEHP stanno partecipando direttamente a questo sforzo, unico nel paese per partecipazione e confluenza di interessi, e insieme a molte istituzioni e gruppi, si stanno ottenendo risultati che solo pochissimi anni fa risultavano utopistici, vista l’indifferenza, l’emarginazione e il tentativo di occultare il problema della transizione post-conflitto.
Un altro elemento nuovo in questo difficile lavoro è costituito dal coinvolgimento dei giovani: gli studenti universitari di quella prima gloriosa e poi satanizzata Universidad Nacional San Cristobal de Huamanga, ai quali i genitori non hanno mai voluto parlare della “guerra”. Per timore, per non riaprire ferite, per non trasmettere la paura – come è successo a Fausta, protagonista del film “La Teta Asustada” – e sempre avulsi dal dibattito sul post-conflitto.
Ma i ragazzi ora vogliono sapere, conoscere, ribellarsi all’omertoso silenzio, all’occultamento di una realtà che invece continua a produrre effetti. Giovani comunicatori sociali che hanno realizzato spot, cortometraggi, programmi radiofonici sulla “guerra” ma soprattutto sulla “pace”, su ciò che vogliono dopo la catarsi, dopo il lutto, dopo il pianto.

Mario Mancini,
capoprogetto ProgettoMondo Mlal in Perù

venerdì 24 settembre 2010

Nicaragua: la vita di Hugo tra lavoro e passioni

Hugo ha 22 anni ed è un ragazzo come tanti, ma senza dubbio da che lo conosco e da quanto so di lui è una persona che ha dimostrato in piú occasioni determinazione e intraprendenza.
Sin da piccolo ha dovuto provvedere a se stesso. La madre lavora da tempo in Costa Rica, costretta a migrare per trovare un impiego: realtà comune in molti mondi da una parte all'altra dell'oceano. Il poco denaro inviato alla famiglia veniva speso in liquore dalla sorella e dal cognato del piccolo Hugo: l'uso eccessivo di sostanze alcoliche rimane una forte problematica tanto in Nicaragua come in molti altri paesi centramericani.
Cosí Hugo ha trascorso l’infanzia per strada, dapprima chiedendo l'elemosina, poi come lustrascarpe, mestiere molto diffuso trai bambini. Con il magro guadagno è riuscito a mantenere i sette cuginetti, e con costanza e determinazione anno dopo anno ha migliorare il suo impiego: da lustrascarpe a venditore di acqua fresca, da venditore ambulante di pomodori e cipolla a ragazzo dei raspados: una granatina imbevuta di sciroppi dolcissimi, offerta da spericolati tricicli che percorrono le assolate strade di Chinandega.
Nonostante l'opposizione della famiglia, a tredici anni Hugo ha deciso di frequentare la scuola e, studiando nei fine settimana, è riuscito a portare a termine l’istruzione primaria e iniziare le scuole secondarie. Proprio durante i corsi, ha conosciuto la sua compagna, piú giovane di due anni, con cui presto è andato a vivere.
Ogni giorno si è impegnato, e continua a impegnarsi, per raggiungere le mete che si propone.
Cinque anni fa, con la nascita di suo figlio, ha lasciato gli studi e da allora ha svolto differenti lavori, puntando sempre a migliorare le sue condizioni finché non ha incontrato la sua vera passione: la fotografia e la grafica. Un mestiere che, però, necessita di una strumentazione abbastanza costosa: per questo non ha mai potuto lavorare autonomamente e regolarmente in questo campo.
A condurlo al programma avviato in Nicaragua da ProgettoMondo Mlal per promuovere lo sviluppo umano, sociale, ed economico dei giovani di Chinandega, è stata un'altra sua grande passione: il calcio. Proprio mentre cercava fondi per comperare i palloni alla sua squadra, ha infatti avuto l'opportunità di conoscere “Futuro Giovane”. Immediatamente ha compreso che poteva essere una buona opportunità e, attraverso il corso di formazione, il suo progetto ha preso forma sino a che, a gennaio di quest’anno, si è trasformato in realtà.
Adesso Hugo vive nel quartiere della sua infanzia, ma la sua vita è decisamente diversa: ha aperto uno studio di fotografia e grafica e questa sua piccola impresa riesce a mantenere sia la sua famiglia che i suoi due dipendenti. È riuscito a rendersi indipendente e affittare una piccola casa dove vive con la moglie e il piccolo. Soprattutto è riuscito a evitare di emigrare nel vicino Guatemala in cerca di lavoro, opportunità che poco prima di conoscer il progetto aveva preso seriamente in considerazione nonostante implicasse l’abbandono del focolare domestico.
Ora può offrire a suo figlio le tante opportunità che a lui sono mancate. Continua a essere un ragazzo semplice ma è deciso a continuare a impegnarsi per raggiungere i suoi obiettivi ... e non a caso quest'anno la sua squadra di calcio si è classificata per le finali dipartimentali.

Marianna Tamburini,
casco bianco ProgettoMondo Mlal in Nicaragua

giovedì 23 settembre 2010

Un giorno con Melita, per parlare ai bambini di lotta alla fame

Nel mondo si produce tanto cibo quanto ne basterebbe per sfamare tutti per altri vent’anni.
Eppure circa metà della popolazione mondiale soffre la fame.
Melita ha 12 anni e abita in un paesino del Guatemala dove il 72% dei bambini non mangia abbastanza. Sua mamma Roselia è una tipa piuttosto speciale che le sta insegnando tanti piccoli segreti che le permetteranno di crescere meglio.
E anche noi, trascorrendo un giorno qualunque con Melita, scopriremo cosa vuol dire nutrirsi poco o male, capiremo quale fortuna abbiamo nel poter scegliere cosa coltivare e cosa mangiare, o quanto più gustoso sia un frutto fresco rispetto a uno conservato, e ci faremo un’idea più concreta di cosa si possa fare nella vita di ogni giorno per contribuire, seppure solo nel nostro piccolo, a cambiare la nostra vita e, se possibile, un po’ anche quella degli altri.

E’ il quarto fotoracconto della serie “Un giorno con…”, proposto da ProgettoMondo Mlal (dopo Un giorno con Morgan, Un giorno con Josè e Un giorno con Iko), con cui la dolce Melita ci insegna a fare i conti con il diritto al cibo e alla sopravvivenza anche a nome di altri 200 milioni di bambini. Tanti sono infatti i bambini che ad oggi soffrono ancora la fame, oppure mangiano poco e male, il che li espone a gravi malattie o alla morte. Ogni anno infatti muoiono ancora 13 milioni di bambini sotto i 5 anni.
Melita ci invita dunque a visitare la sua casa, la sua scuola, la sua cucina… A conoscere i suoi amici, la sua famiglia e la sua gente.

ProgettoMondo Mlal è in Guatemala da quarant’anni. Tra i temi dei tanti Programmi di sviluppo realizzati fino ad oggi, particolarmente significativi sono quelli sulla sicurezza alimentare perché –come si legge nello stesso fotoracconto- hanno direttamente a che fare con la vita, con il diritto alla sopravvivenza di tutti noi.
Si tratta infatti di interventi davvero capaci di cambiare la vita di una comunità.
Il che, mentre ci prepariamo a celebrare la scadenza del 2015 e a fare perciò anche un po’ tutti i conti sugli Obiettivi più o meno raggiunti, ci aiuta ricordare quanto concreto sia il tema dell’alimentazione, quanti interessi e problematiche ci siano dietro, e quali risultati potrebbero avere in questo senso la cooperazione e dello sviluppo.
Nel paese dove vive Melita, Mlal grazie all’aiuto dell’Unione Europea, ProgettoMondo ha contribuito a ridurre la denutrizione cronica dei bambini, a porre maggiore attenzione alla tutela del territorio dai rischi ambientali, e a costruire le basi per una sicurezza alimentare, ovvero la certezza di mangiare ciascuno nelle giuste quantità.

Il fotoracconto Un giorno con Melita (testi di Lucia Filippi e immagini di Ermina Martini) è disponibile presso la sede ProgettoMondo Mlal in via Palladio 16 – 37138 Verona. O si potrà richiedere per posta, scrivendo a sostegno@mlal.org
I fondi raccolti con questa pubblicazione andranno a sostenere il Programma di Sicurezza Alimentare in Guatemala.

martedì 21 settembre 2010

Tra attestati e balli tradizionali, a San Pedro si saluta l'inverno

Una giornata di festa per i giovani reclusi del carcere di San Pedro a La Paz, con la consegna degli attestati di partecipazione al progetto Qalauma in un miscuglio di sorrisi, balli e allegria. Così, il 6 settembre, si sono chiuse le attività invernali del progetto, che attualmente coinvolge 80 dei 150 ragazzi con meno di 21 anni detenuti nella struttura penale boliviana. E anche se le difficoltà sono molte, tra la mancanza di spazi, la limitazione di strumenti didattici e un inverno rigido, anche questa volta le attività si sono concluse bene, tra la collaborazione di tutti.
Con settembre in Bolivia l'inverno lascia spazio alla primavera. La gente di La Paz sta abbandonando cappotti e giacche a vento e, specialmente di sera, inizia a esserci un po' più di vita per le strade. L’inverno paceño è ben differente da quello che si vive in Europa: tra giorno e notte c’è un’escursione termica di quasi 25 gradi: di giorno si arriva a quasi 20º C e di notte a -5. Le case non hanno riscaldamento e la maggior parte delle strutture sono costruite con materiali di basso costo e a volte anche di scarto. La vita di chi vive la strada è molto difficile in questo periodo dell’anno: il consumo di droga ed alcol sono un’alternativa alla fame ma specialmente un palliativo per il freddo. Nelle carceri di La Paz la situazione non è delle migliori, specie in questa stagione: le celle, o stanze, sono fatte con materiali di fortuna, la maggior parte sono costruiti con compensato o cartone. I materassi sono sacchi di paglia a contatto con il pavimento e il numero di coperte....dipende dal fattore economico di ciascuno. Così sono comuni le influenze, i malanni, le infezioni e i contagi.
Ma, nonostante tutto, le attività non hanno avuto intoppi e la preparazione della festa di fine anno ha coinvolto un po' tutte le sezioni - che a San Pedro sono 9, ognuna con più di 150 persone – con le persone raccolte in quella di Alamos, per l'occasione decorata con i cartelloni realizzati durante i corsi.
Tutti hanno avuto la parola in questo momento di “raccolta dei frutti”, dal responsabile di Qalauma per Progettomondo Mlal, Riccardo Giavarini, al delegato della sezione di San Pedro, fino agli educatori e, naturalmente, ai ragazzi stessi. Nessuno si è sentito escluso, e in un clima di totale allegria si è arrivati al momento di maggiore euforia e gioia: quello del ballo.
In Bolivia c’è una vera passione per le danze tradizionali: fin dalle elementari gli alunni seguono lezioni per arrivare a conoscere tutti i passi dei balli tipici.
Gli educatori di Qalauma, con un gruppo di adolescenti, si sono preparati – in nove mesi di prove - per il ballo nazionale del Tobas (ballo tipico della parte tropicale del Paese).
Anch’io facevo parte del gruppo di danza, tra l’emozione e una grande agitazione: imparare nuovi passi, nuovi ritmi e, specialmente, ballare a 4000 metri d’ altitudine... molta era l’ansia e grande l’aspettativa del buon risultato.
Uno dei ragazzi, Ivan, ha fatto da guida al gruppo. Dando il tempo dei passi si è occupato della coreografia e, con molta pazienza, mi ha insegnato tutti i passi necessari.
Dopo aver affittato i vestiti tradizionali per il ballo, siamo riusciti a introdurli nel penale di San Pedro: a ognuno la sua lancia e la maschera. E sulle note di una canzone di Kalamarka, la danza ha preso il via .....eravamo 13 persone e siamo stati bravissimi. Un grande applauso ha sollevato i nostri cuori e la macchina fotografica ha immortalato la nostra felicità.

venerdì 17 settembre 2010

In Brasile, alla scoperta dell’ “incanto”

È stato il “caso”, un caso fortuito, a portare la nostra famiglia in Brasile.
A gennaio non pensavamo certo alle vacanze estive, ma c’è stato il terremoto ad Haiti e da qui il desiderio di aiutare quella povera popolazione attraverso qualcuno che operasse davvero sul campo.
Tra tutte, ci è sembrato che ProgettoMondo Mlal, ONG italiana che opera a Léogane, rispondesse all’idea che abbiamo di sostegno alle popolazioni colpite.
Nel sito dell’ONG abbiamo approfondito il concetto di Turismo Responsabile e, come se qualcuno avesse guidato i nostri occhi, è comparsa la scritta Brasile-Casa Encantada. Ci siamo innamorati del nome o forse dell’idea e immediatamente è nato forte il desiderio di andarci quanto prima.
Non pensavamo che i nostri figli, di 23 e 18 anni, ci avrebbero seguito, anche perché da tempo organizzano le vacanze con i loro amici…ma, visitando il sito di Casa Encantada e il programma proposto, devono aver percepito che qui si trattava di una “vacanza unica e speciale” e hanno subito aderito.
Così è stato: le emozioni che abbiamo vissuto, i luoghi che abbiamo visitato, i volti che abbiamo incontrato, le mani che abbiamo stretto, l’abbraccio “brasiliano” che abbiamo scambiato, il cammino che abbiamo fatto insieme, anche se solo per una settimana, sono fortemente presenti nel nostro cuore, come scolpiti nella roccia e per questo indelebili.
Il dubbio e il rischio era che i nostri figli potessero non apprezzare questo tipo di vacanza ma, dai racconti che fanno agli amici, percepiamo una profonda gratitudine nei confronti delle persone che ci hanno ospitato, Loris, Maria e le deliziose Noemi e Betania, per averci accompagnato con professionalità e umanità non “in Brasile” ma “DENTRO IL BRASILE” , con tutto il suo carico di colori, profumi, musica, sorrisi, cultura, solidarietà…insomma dentro il Brasile che cercavamo.
Quel Brasile che ormai ha invaso il nostro cuore, facendolo traboccare di saudade, che ci fa già pensare a un ritorno, per incontrare nuovamente i cari amici lasciati là, il “valore aggiunto” di questo meraviglioso viaggio.
Poiché riteniamo che i “viaggi responsabili” facciano parte integrante dell’educazione dei figli, arricchendoli dei giusti valori che fanno comprendere il senso della vita, ci sentiamo di suggerire questa vacanza a tutti i genitori con figli di qualunque età.

Grazie Loris e Maria,
sinceramente “obrigadi
Laura Andrea Marco e Michela
Cagliari 10 settembre 2010

giovedì 16 settembre 2010

Premio Nada a Danila Pancotti, donna di rete e cooperazioni

Animazione sociale e sostegno a emarginati, contadini e donne del sud del mondo, oltre alla valorizzazione di chi è immigrato su suolo italiano. Ambiti in cui Danila Pancotti, piacentina doc, nata a Rivergaro, si trova perfettamente a suo agio, grazie a un lavoro di educatrice ormai decennale e all'enorme esperienza acquisita nell'ambito della cooperazione allo sviluppo.
Per questo la Consulta Immigrazione e Mondialità del Comune di Piacenza ha deciso all'unanimità di assegnarle il premio Nada 2010, la cui cerimonia si svolgerà il 28 settembre al cinema Iris, dopo la proiezione delle 21.15 del documentario “Manoorè” di Daria Menozzi: un’opera sul lavoro nell’epoca della globalizzazione attraverso la voce di tre donne sindacaliste Awa, Rita e Catherine provenienti dal Senegal, dal Brasile e dalla Malesya.

Partita nel 1989 per un programma di ProgettoMondo Mlal in una delle zone più povere del nord-est brasiliano (a Picos nel Piauì), Danila ha collaborato con varie organizzazioni sociali a scopo umanitario e lavorato in sinergia con le organizzazioni dei quartieri e il Movimento popolare di salute (Mops) sia come educatrice che come animatrice sociale.
Dopo il rientro a metà degli anni '90 - e una pausa in Italia in cui ha messo in campo le sue doti nel lavoro di rete impegnandosi soprattutto nell'ambito dell'educazione allo sviluppo - è del 2000 la seconda esperienza in America Latina, questa volta in Ecuador, dove rimane fino al 2003, al fianco di contadini e donne, e per la costruzione di un acquedotto.
Proprio in quel periodo (nel 2001), l'amministrazione provinciale di Piacenza sceglie di riservarle il Premio per la Pace, appena istituito, intitolato alla memoria di Livia Cagnani.
Seguono anni in cui Danila, dopo aver fondato il gruppo ProgettoMondo Mlal di Piacenza, ha continuato a svolgere - come tutt'oggi continua a fare - le sue attività nel campo del sociale, mettendo insieme e collaborando con diverse realtà del territorio.
Tra queste anche il Tavolo della Pace, cui partecipa attivamente anche per quanto riguarda i progetti di sensibilizzazione dei giovani piacentini che più di una volta ha accompagnato in Brasile, in visita ai programmi di sviluppo di ProgettoMondo Mlal.
Iniziative nelle scuole, sinergie tra diocesi e sindacati, promozione di scambi. Un lavoro portato avanti sempre con il massimo dell'entusiasmo e dell'impegno, senza mai tralasciare di valorizzare e fortemente coinvolgere gli immigrati presenti sul territorio piacentino, latinoamericani e non solo.

mercoledì 15 settembre 2010

In Brasile, dove la bellezza nasce dal niente

Un nuovo racconto su alcune delle realtà incontrate a Rio de Janeiro da chi, ad agosto, ha partecipato al progetto Kamlalaf del Comune di Piacenza. A scriverlo è Federica Lugani, che ha viaggiato in Brasile con ProgettoMondo Mlal.

Sono tornata dal Brasile ormai da un po’ …e non posso fare a meno di ricordare. Riguardo i video che ho girato tra Salvador de Bahia e Rio de Janeiro, cerco musiche brasiliane, leggo libri che indirettamente ne parlano, ringrazio il cielo che siamo figli della globalizzazione, e tramite internet, ricerco il contatto con un altro mondo lontano migliaia di km, che ha saputo darmi tanta ricchezza da farmi ammettere: ebbene sì, sono vittima anch’io della famosa saudades!
Sono stata in Brasile insieme ad altri giovani della mia età, grazie al progetto Kamlalaf del Comune di Piacenza,e al gruppo locale ProgettoMondo Mlal di Piacenza che vi ha partecipato, dandoci così l’opportunità di vivere un viaggio di vero turismo responsabile.
Dopo dieci giorni a Salvador de Bahia, ci siamo spostati a Rio de Janeiro. Qui, grazie alla guida di Francesca Menegon, cooperante Mlal, e di Sarah Reggianini, del servizio civile, abbiamo conosciuto iniziative stupende, progetti sociali ammirevoli. Tra questi, il lavoro dell’associazione “Raizes in movimento” della favela “Complexo do Alemao”, un’associazione di giovani impegnata a incentivare l’economia locale della favela attraverso l’utilizzo della pubblicità, della grafica. Michael, uno dei ragazzi di Raizes, è fotografo. Grazie a una borsa di studio ha potuto partecipare a un corso ma, nonostante le opportunità in più ricevute, dice : “io sono nato in favela e desidero rimanere qui”. È risaputo, il cambiamento migliore viene da dentro, e i ragazzi ne sono fortemente consapevoli. Stupisce comunque il loro forte senso di appartenenza, e il desiderio di dedicare la propria arte a un bene comune. Vivere a “Complexo do Alemao” non sembra infatti così facile. La favela si districa lungo una montagna, i trafficanti tengono tutto sotto controllo, mancano diversi servizi, ma il governo sembra non esser mai sceso fin quaggiù, per sentire di cosa abbia veramente bisogno la gente. Non a caso, David, altro responsabile di Raizes, si lamenta per i recenti interventi del Pac, un programma di intervento del governo, perché sembrano imposti dall’alto, senza il coinvolgimento della popolazione. “Stanno costruendo per esempio – ci dice- una teleferica che metterà in comunicazione due punti della città, ma manterrà isolate le favelas in mezzo, e non è un servizio utile alla pari dell’acqua o della luce, che ogni tanto fatica ancora ad arrivare alla popolazione”.

Un altro esempio di come l’intraprendenza dal basso possa arrivare laddove i governi ancora sonnecchiano, è il centro culturale “A historia que eu conto”, situato in un’altra favela di Rio, chiamata Villa Alianza. Qui una vecchia scuola abbandonata è stata spontaneamente occupata qualche anno fa da un gruppo di abitanti, per divenire ben presto il fulcro dell’attività culturale della zona. Il centro infatti, ha una biblioteca, laboratori di graffiti, stampa su maglietta, teatro e danza hip-hop. Dopo aver iniziato in maniera autonoma, ora, come Raizes, il centro gode dell’appoggio di diverse ong locali, tra queste c’è anche FASE, con cui ProgettoMondo Mlal ha collaborato per “Dereichos direitos”, un progetto rivolto ai giovani delle favelas, di cui Piacenza stessa ha avuto un assaggio nel marzo del 2009, quando furono ospiti del Tavolo per la Pace due giovani musicisti brasiliani della band Grupo Zamboo.
Ancora una volta rimaniamo stupiti di come possa nascere la bellezza dal niente, grazie all’intraprendenza e alla lungimiranza delle persone. E i frutti poi, sono tanti. Uno dei ragazzi responsabili del gruppo di teatro, ci mostra infatti alcune delle produzioni del gruppo. Alla consegna, “racconta che cosa vorresti fare da grande, qual è il tuo sogno”, una ragazzina risponde: “io vorrei fare la differenza”. Non può che commuoverci una tale promessa di speranza.

E non c’è due senza tre. Un’altra stupenda realtà incontrata a Rio, è quella del circo sociale “Crescer e Viver”. Un tendone situato nelle prossimità di un quartiere periferico di Rio ospita i tanti ragazzi che per tre pomeriggi alla settimana partecipano alle “officine”, i laboratori gratuiti di arte circense. Hanno tutte le età, e già da piccoli si divertono a fare salti, capriole, acrobazie sul trapezio o sull’anello, a girare in monociclo e roteare le palline. Il circo però, anche qui è solo un pretesto per fare educazione, come ci spiegano i responsabili Junior Perim e Vinicius Daumas. Uno un ex-ammazzapolli, l’altro un pagliaccio, che incontrandosi hanno dato vita a un grande progetto artistico ed educativo. Attraverso il circo, infatti, i ragazzi ricevono preziosi insegnamenti dai ragazzi più grandi, come il valore della costanza e dell’impegno. Soddisfano il loro bisogno di riconoscimento da parte della comunità grazie agli spettacoli messi in scena, si sentono capaci e portatori di una grande arte, ma soprattutto di un grande entusiasmo per la vita. “Noi non vogliamo – dice Vinicius - che la gente venga a vedere i nostri spettacoli perché ci sono i “poverini” delle favelas che fanno le acrobazie. Vogliamo che la gente venga perché sappiamo offrire uno spettacolo di grande qualità artistica”. La consapevolezza è tanta, e si capisce perché “Crescer e viver” stia facendo molta strada. Gli spettacoli dei giovani più grandi, sono portati in scena non solo in Brasile, ma anche in Europa, e i temi trattati sono i più disparati, dalla vita dell’artista ad alcuni aspetti della quotidianità di Rio, come le predicazioni del ”profeta della gentileza”. Per questi giovani, da poco è stata anche aperta una vera e propria scuola per diventare operatori dell’arte circense, per poter essere anche più competitivi sul mercato del circo. Educazione, lavoro e intervento sociale, sono tanti quindi gli obiettivi di “Crescer e Viver”, un altro esempio che ci ha arricchito, dimostrandoci come l’arte in Brasile, sappia sempre rivolgersi alla realtà sociale intorno, e come sia forte qui, il monito di un noto poeta: “l’artista deve sempre stare dove sta il popolo”.

lunedì 13 settembre 2010

Tre giorni con la Focsiv per gli sviluppi del Millennio

In vista del Vertice di New York sugli Obiettivi di Sviluppi del Millennio, la FOCSIV, Federazione di cui fa parte ProgettoMondo Mlal - che parteciperà ai lavori del Summit con la presenza a New York del suo Segretario Generale Sergio Marelli -organizza una tre giorni di iniziative finalizzate alla sensibilizzazione delle istituzioni affinché il Vertice possa diventare davvero un’occasione per rilanciare un riallineamento dei Governi nazionali con gli impegni assunti in sede di Nazioni Unite e di Commissione Europea poi reiterati da G8 e G20, ma rimasti ad oggi disattesi.

La ricca agenda di appuntamenti prevede il 14 settembre alle 10.30 all'Hotel Nazionale - Sala Cristallo, Piazza Montecitorio 131 la presentazione dei dati della quarta edizione del Barometro della solidarietà degli italiani, l'indagine promossa dalla FOCSIV e condotta dalla DOXA finalizzata alla conoscenza delle tendenze della società italiana nel campo della cooperazione e della solidarietà internazionale; e da lunedì 13 a mercoledì 15 incontri istituzionali presso il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e presso la Conferenza Episcopale Italiana.

I dati emersi dal Barometro saranno oggetto di riflessione degli appuntamenti isitituzionali perché si tratta di “uno strumento importante per conoscere gli orientamenti, le tendenze e le variazioni nel tempo delle opinioni degli italiani in materia di solidarietà internazionale; utili per chi opera nella solidarietà e nella cooperazione internazionale; e fondamentali per chi è chiamato a compiere, in nome e per conto dei cittadini, le scelte concrete delle politiche internazionali del nostro Paese”, dice Gianfranco Cattai, Presidente della FOCSIV.

venerdì 10 settembre 2010

Servizio civile, un investimento per il futuro

Una grande opportunità che sono felice di aver colto. Un’esperienza più che positiva, sia a livello umano che professionale”. Per Maria Grazia, giovane sarda in rientro dal Marocco, il servizio civile rappresenta ora nel suo curriculum una preziosa esperienza di crescita umana e professionale. In più ha la soddisfazione di aver saputo cogliere un’occasione di sicuro unica.
Come lei ci sono Ester di Ferrara, Sarah di Bologna, Marianna di Padova, Martino di Firenze e Leonardo di Aosta. Tutti d’accordo che, a parte qualche inevitabile difficoltà dovuta all'ambientamento, l’anno trascorso tra l’America Latina e l’Africa abbia rappresentato una grande opportunità per conoscere realtà e culture nuove, oltre che un periodo di crescita professionale durante cui imparare a vivere nel mondo del lavoro e della cooperazione internazionale.
È fondamentale aver vissuto momenti di difficoltà legati al vivere all’estero e al ritrovarsi tutto d'un tratto immersi in una realtà sconosciuta in cui non si conosce nessuno, e di averli potuti affrontare e superare, con la consapevolezza che si tratta di un grande banco di prova per il futuro”, dichiara soddisfatta Sarah, pronta a rientrare dal Brasile dove ha potuto dare il suo contributo a un progetto sulla lotta allo sfruttamento sessuale minorile e al traffico delle persone.
E anche per Marianna, impegnata in Nicaragua in un programma di sviluppo per promuovere lo sviluppo umano, sociale, ed economico dei giovani di Chinandega, i punti di forza sono molti sia a livello di formazione professionale sia a livello più strettamente personale.
Poter vivere da dentro la realtà di un paese diverso, conoscendolo giorno per giorno nel vivere quotidiano costituisce una ricchezza infinita”, fa sapere Martino. Che, pur di viaggiare attraverso la Bolivia per conoscerne “complessità, bellezze e differenze”, ha saputo rinunciare anche ai suoi amati salumi e formaggi toscani: gli unici, ribadisce, “degni di tal nome”.
Una full immersion nel mondo della cooperazione internazionale”. Così Leonardo ha ribattezzato il suo periodo di servizio civile in Bolivia. Per lui questo periodo ha inoltre rappresentato un'occasione anche “per valutare più da distante la realtà d’origine e le reali prospettive lavorative”.
Impressioni, spunti, considerazioni e valutazioni di fine corsa. Tutte personali e segnate dai percorsi individuali di ciascuno ma che, proprio per la grande soddisfazione comune a tutti, non possono che incoraggiare i giovani che ancora non lo hanno sperimentato, a preparare le valigie e cimentarsi con consapevolezza e coraggio in un’avventura irripetibile alla scoperta del Sud del Mondo.

giovedì 9 settembre 2010

Famiglie in viaggio alla scoperta del Brasile

Una ventata di umanità ed emozioni. Agosto quest’anno ha portato alla Casa Encantada di Salvador de Bahia famiglie straordinarie che hanno scommesso sul turismo responsabile. Prima la famiglia Cirri, che ha scelto di tornare in Brasile dopo 17 anni, per mostrare al figlio la sua terra di origine. Adottato fin dal primo anno di vita, Francesco ha chiesto ai suoi genitori di rivedere il paese in cui è nato, e di farlo con la sorella di 15 anni (adottata di origine russa). Dopo un’accurata ricerca via internet hanno deciso e scommesso su Salvador con Casa Encantada.
Il risultato eccezionale ha superato le aspettative, hanno visto e vissuto la realtà baiana con forte emozione, sempre e ogni giorno con grande stupore ringraziavano a ogni esperienza vissuta. Attraverso le uscite socio-culturali hanno incontrato i nostri amici brasiliani coordinatori dei progetti sociali, conoscendo un Brasile dignitoso, con molta speranza, e facendosi un’idea positiva di un paese in crescita e con molta fantasia per affrontare il quotidiano.
Francisco non ha solo riscoperto il suo Brasile, ma ha toccato con mano le sue origini ancestrali afro discendenti, scoprendo quindi anche l’Africa che ha dentro di lui attraverso l’interscambio. Ci ha salutati con un arrivederci, perché sicuramente ritornerà con i suoi amici conterranei, per mostrare la ricchezza umana e la diversità brasiliana.
Una seconda esperienza sorprendente è avvenuta con la famiglia Cerulla proveniente dalla Sardegna. Maria Laura e Andrea sono riusciti a portare in vacanza i loro figli di 18 e 23: i ragazzi, vedendo il programma, hanno infatti deciso di unirsi a mamma e papà, per abbinare un’esperienza unica di viaggio e di vita a due diverse generazioni. Non è facile vedere quattro persone dai 18 ai 50 anni divertirsi insieme, entusiasmarsi, ricercare, dialogare, vivere pienamente la vacanza con consapevolezza; vedere un padre suonare le percussioni con il proprio figlio, vedere i ragazzi che riescono a divertirsi, riposarsi, ritrovare stimoli, in una vacanza solidale insieme ai loro genitori.
E poi c’è una terza famiglia che ha scelto di raggiungere la Casa: una coppia in viaggio di nozze proveniente da un’altra isola, la Sicilia.
Due giovani artisti che si occupano di teatro sociale nelle periferie di Palermo. Realtà non molto diverse da quelle di Salvador, dove i progetti locali hanno offerto spunti creativi ai due sposi novelli che, per altro, aprono la loro casa Bed & Brekfast da per ospitare 2 o 3 turisti responsabili nella loro Palermo e mostrare la dignità del sud Italia.
Di storie da raccontare ne abbiamo molte ma queste sono il frutto e la ricchezza umana che ProgettoMondo Mlal continua a scommettere attraverso Casa Encantada. Qui dove l’interscambio non avviene solo con i brasiliani, ma nel centro interculturale stesso, dove gli ospiti si divertono e insieme fanno nuove esperienze.

Loris Campana
ProgettoMondo Mlal , Casa Encantada
Brasile

mercoledì 8 settembre 2010

20 giovani di buona volontà per 8 Paesi del Sud del Mondo

Argentina, Bolivia, Brasile, Guatemala e Nicaragua. Ma anche Burkina Faso, Marocco e Mozambico. Tempo di selezioni per chi ha in mente di lasciare per un anno il proprio paese e dedicarsi alla conoscenza e al sostegno di uno di quelli del Sud del mondo.
Il servizio civile all’estero, proposto anche quest’anno da ProgettoMondo Mlal, vede ben 20 posti disponibili.
Che sia America Latina o Africa, l’obiettivo è sempre lo stesso: offrire il proprio servizio nella solidarietà internazionale e conoscere da vicino il mondo della cooperazione allo sviluppo, fare esperienze diverse, imparare una lingua e altre nuove cose.
Otto in tutto i Paesi in cui ProgettoMondo Mlal ha bisogno di tutta l’energia dei giovani tra i 18 e i 28 anni (non compiuti) disposti a partire.
Per l’economia solidale e la sovranità alimentare delle famiglie boliviane, come per promuovere lo sviluppo umano, sociale, ed economico dei giovani di Chinandega in Nicaragua o per l’edilizia popolare destinata alle famiglie di Cordoba e Santa Fe in Argentina si cercano in tutto 6 giovani volontari. In Guatemala i due posti da assegnare hanno destinazione Chimaltenango, nel Centro di istruzione e formazione Montecristo della cooperativa Kato-Ki, nostro partner. Altri 3 caschi bianchi sono attesi a Recife in Brasile per Casa Melotto, programma a sostegno della formazione per gli studenti di scuola superiore.
Per chi fosse interessato al tema della giustizia, sono due le destinazioni in palio: una in Bolivia, nel centro penitenziario Qalauma, nato a La Paz per reintegrare nella società i giovani trasgressori emarginati, l’altro in Mozambico, per migliorare le condizioni di vita dei detenuti e favorirne il reinserimento sociale una volta scontata la pena.
In Burkina Faso, poi, ad attendere i volontari sono i “Sentieri della salute”, progetto nato per migliorare le condizioni sanitarie e sociali della popolazione nelle regioni Hauts Bassins e Cascades.
Il tema dell’istruzione e della lotta all’analfabetismo è poi di grande attualità in Marocco, dove, anche per sostenere lo sviluppo locale, i caschi bianchi richiesti questa volta sono addirittura tre.

Le regole per partecipare alle selezioni sono semplici: essere di cittadinanza italiana, avere un’età compresa tra i 18 e i 28 anni non ancora compiuti, non avere già svolto servizio civile in precedenza, né in Italia né all’estero e… godere di buona salute e del giusto entusiasmo!
Le candidature (i cui moduli sono scaricabili direttamente da http://www.focsiv.org/informarvi/scv/candida_est.php), dovranno pervenire direttamente alla nostra associazione entro le ore 14 del 4 ottobre, in viale Palladio 16 - 37138 Verona. Non farà fede il timbro postale, né l’invio dei moduli via mail o via fax, ed è possibile fare domanda per un unico progetto.
Una volta raccolte le candidature, l’associazione procederà con la selezione. Tra ottobre e novembre i giovani saranno convocati per i colloqui e, quelli ritenuti più idonei, dopo un apposito corso di formazione, partiranno per il Paese di destinazione nel febbraio 2011.
Che aspettate? Il mondo vi aspetta!

Bando e moduli per candidarsi al servizio civile su: www.serviziocivile.it e www.focsiv.it

A Qalauma si torna a vivere, oltre la detenzione

"In tutta la giornata non mi sono sentito prigioniero. E nemmeno giudicato: una sensazione che non sentivo da tempo”. “Mi sono sentito un giovane normale”. Sono le riflessioni dei carcerati di San Pedro che il centro Qalauma, nato con ProgettoMondo Mlal per reintegrare nella società adolescenti emarginati e grazie a un accordo con il Governo, ha potuto ospitare tra le sue mura nel mese di agosto. Per ora sono state gestite due visite, tra il 10 e l’11 e il 24 e 25 agosto, ma la volontà è quella di permettere che questo scambio si svolga almeno due volte al mese. Nelle prime date, undici ragazzi di San Pedro sono stati coinvolti in questa esperienza che li ha visti partecipare a giochi, riflessioni, scambi e convivenza. Con noi anche un gruppo di 16 volontari spagnoli di “Proyecto Solidario” e una coppia di italiani (Silvia e Stefano) che stavano trascorrendo una vacanza qui in Bolivia.
Eravamo tantissimi, abbiamo giocato a pallone, pranzato tutti assieme e provato alcuni esercizi di rilassamento, in alternativa alla classica pennichella pomeridiana. Il tempo è volato e poco dopo era già l’imbrunire. Alla sera ci siamo divertiti con i giochi in scatola: faceva freddo, del resto Qalauma è situata a 4000 metri sul livello del mare, ma la voglia di stare insieme era troppo grande per arrendersi e quindi sono stati superati i piccoli disagi causati dalla temperatura. A ognuno è stata assegnata una stanza, con lenzuola, coperte e asciugamano e alle 22.30 si sono spente le luci e tutti si sono lasciati andare con serenità tra le braccia di Morfeo. La mattina successiva i ragazzi erano tranquilli, “ho dormito senza nessuna preoccupazione”, “mi sono addormentato contento, dopo avere trascorso una giornata diversa da molte altre”. Si sono fatte attività ricreative e, dopo pranzo, una partita di calcio. Poi, con un po’ di amarezza, nel tardo pomeriggio i ragazzi sono tornati nel carcere di San Pedro, non prima di aver commentato le 2 giornate passate insieme: tutti hanno detto qualcosa, ognuno ha espresso la propria gratitudine e qualcuno si è lasciato andare con qualche lacrima. “Questa è una vera famiglia, tutto l’affetto che avrei voluto ricevere dalla mia, lo sto ricevendo adesso”. “Pensavo di non sapere più ridere, né di divertirmi come un bambino”.
Parole che hanno toccato il cuore di tutti dando a noi dell’equipe una carica e un entusiasmo ancora più grande per vivere al meglio l’esperienza successiva.
Così il 24 e il 25 agosto si è ripetuta l’iniziativa e sono state di nuovo giornate indimenticabili. Questa volta ci sono venuti a trovare 17 ragazzi: la loro e la nostra emozione era fortissima, finalmente la struttura di Qaluama è stata vissuta e messa alla prova. Le difficoltà di coordinazione con il Governo per gli alimenti, per i permessi e per la logistica nel trasferimento sono state molte, ma alla fine tutto si è risolto e i ragazzi sono arrivati a Qalauma verso le 11 di mattina. Alcuni di loro non conoscevano ancora questo edificio, così abbiamo cominciato con una visita guidata di tutti gli ambienti. Poi si è proseguito con giochi, momenti di conoscenza e il pranzo, graditissimo quanto gli applausi interminabili che abbiamo ricevuto. Nel pomeriggio abbiamo presentato ai ragazzi la “terapia occupazionale”, che consiste nella prima fase di accoglienza del programma educativo APAC, cui Qalauma fa riferimento. Ciò che si vuole incentivare con questa metodologia sono i lavori artigianali di precisione e rifinitura. L’obiettivo educativo di questa attività sta nel controllo dell’ansia e della rabbia attraverso la concentrazione in un lavoro di precisione.
Allo stesso modo questo costituisce un momento di relax e soprattutto di coscienza: le stesse mani che hanno commesso delitti sono capaci anche di creare cose meravigliose. Così si sono svolti i laboratori di marionette e di pittura con risultati ottimi e per tutto il pomeriggio i ragazzi si sono immersi in qualcosa di interessante e nuovo. Anche dopo la cena, abbiamo proseguito la serata in compagnia, cantando, giocando e ridendo. La notte è passata tranquilla e il giorno dopo è cominciato nel migliore dei modi: i ragazzi sono stati svegliati dalle note di Chopin! Dopo una buona colazione si sono ripuliti gli ambienti e poi si è dato spazio all’attività sportiva. Anche i poliziotti hanno giocato con i ragazzi e lo stupore per il divertimento e la complicità che si è creato è stato grande per entrambe le parti. Prima che i ragazzi tornassero a San Pedro si è fatto anche con loro un momento di riflessione e di valutazione delle due giornate. I commenti sono stati oltre le aspettative. “Per la prima volta ho visto che la polizia non è tanto cattiva come sembra: in fondo sono persone come noi. Me ne sono reso conto quando abbiamo giocato e i poliziotti si sono tolti la giacca della divisa. Sono persone come noi e sanno divertirsi senza violenza. Per un attimo si sono smascherati del loro ruolo per mostrarci chi sono". “Grazie a tutta l’equipe per essersi fidata di noi”. “Qui dentro mi dimentico di tutti i problemi che ho, della droga e della violenza e, per la prima volta dopo mesi, ho dormito serenamente”. “Questa è un’ottima opportunità per me e l’attenzione che mi avete dato resterà sempre nei miei ricordi”.
Parole che ci commuovono e che raccontano tanto su questi ragazzi: sono persone che hanno voglia di vivere e vogliono cambiare la loro vita, sanno che sarà difficile e hanno bisogno di sapere che non solo soli, e questo lo hanno capito bene coloro che hanno avuto la possibilità di condividere con noi le mura di questo centro. I 17 ragazzi son gli stessi con cui lavoriamo ogni giorno nel carcere di San Pedro, ma qui a Qalauma li abbiamo visti riprendere in mano la loro vita.
San Pedro è un carcere dove i detenuti si sentono liberi perché con gran facilità acquistano e consumano droga, ma in realtà sono solo prigionieri di loro stessi e non riescono a trovare un valido motivo di riscatto. A Qalauma, invece, si possono esprimere, possono conversare con altre persone, non solo carcerati come loro, ma anche con i poliziotti e con noi dell’equipe. Qui le critiche sono ben accette e considerate costruttive, a San Pedro una parola di troppo può costare la vita e allora in fin dei conti è meglio perdersi nella realtà artificiale della droga. Non è questo che vogliamo per questi ragazzi e le giornate trascorse sono state solo una “puntata pilota” di un programma che, dato il successo, speriamo di poter ripetere a lungo.

Ester Bianchini
casco bianco ProgettoMondo Mlal in Bolivia

martedì 7 settembre 2010

La rivolta organizzata via sms? In Mozambico si spengono i cellulari

Proprio ieri il governo mozambicano si era trovato costretto ad ammettere pubblicamente che il bilancio delle manifestazioni popolari, scoppiate tra l’1 e il 2 settembre a Maputo, a causa del rincaro di pane, luce e acqua, è ulteriormente cresciuto. Infatti in queste ore i morti sono saliti a 13 e quasi 400 sono i feriti.
Ma il segnale più importante è arrivato oggi e lo pubblica in prima pagina anche il quotidiano Verdade (www.verdade.co.mz). “Dopo le manifestazioni popolari il governo congela l’aumento dei prezzi”. Secondo il ministro della Pianificazione e dello Sviluppo, Aiuba Cuereneia, grazie a una nuova “sovvenzione” il prezzo del pane rimarrà invariato.

Dunque un primo netto retromarcia ufficiale rispetto alla decisione delle scorse settimane di aumentare del 40% il prezzo del pane. “La manifestazione popolare ha indubbiamente raggiunto il suo obiettivo. Sarà però interessante seguire ora – è il commento del direttore di ProgettoMondo Mlal Valentino Piazzale decisioni del governo rispetto alle pressioni che indubbiamente sta subendo dal Fondo Monetario Internazionale che in questa fase chiede la liberalizzazione dei prezzi e appunto il taglio delle sovvenzioni”.
Parallelamente, però, anche un segnale opposto: “Servizio di Sms fuori servizio in Mozambico”. Sempre secondo il quotidiano “Verdade” nel corso degli ultimi due giorni si è rivelato per tutti impossibile mandare o ricevere messaggi con il cellulare. La stessa redazione –si legge- è stata subissata di chiamate di protesta o richiesta di spiegazioni. A fronte di questo gli operatori di telefonia mobile hanno già smentito un loro coinvolgimento e/o disservizio.
Ma è andata proprio così. Un’ulteriore indicazione della debolezza del governo e del peso che ha avuto la posizione espressa a livello popolare.
La manifestazione del primo settembre era infatti stata organizzata esclusivamente sulla base del passaparola. Tanti messaggini Sms che in un battibaleno si erano moltiplicati e portando nelle strade migliaia di manifestanti. E nel corso del fine settimana, complice il silenzio del governo, erano ricominciati gli sms con una nuova chiamata a manifestare per le prossime ore.
Di chi sia la responsabilità del blocco degli sms è difficile dirlo. Certo è che suona come una censura. Dall’introduzione della telefonia mobile, anno dopo anno, nel Sud del mondo questo strumento di comunicazione è diventato una vera e propria opportunità di fare rete, di fare sentire la propria voce, di partecipare, appunto.
E dunque la notizia di oggi è anche che la piazza globale del Mozambico fa paura.

In classe tra abusi, violenza e voglia di riscatto

La scuola è una colata di cemento armato. Spenta e grigia, ma non lugubre. Ci accolgono un centinaio di facce diverse a rappresentare la mista composizione del Brasile.
Tutti in divisa guardano come siamo vestite…Quanto è bianca e bionda Francesca? E chi è quella tipa con gli occhiali??
Nei corridoi l’atmosfera è un po’ cupa, ma ci sono piccoli particolari che riportano colore e allegria, come il cartellone dei compleanni con tutti i nomi dei ragazzi da festeggiare questo mese. C’è stato un disguido, e la preside non era a conoscenza del nostro arrivo. Non c’è un’aula disponibile… per un attimo si scatena il panico.
Ma in fin dei conti ci troviamo in Brasile, “tudo vai dar certo” (tutto si sistemerà) uno spazio si trova sempre con un “jeitinho” (seguendo l’abilità brasiliana di cavarsela sempre, in un modo o nell’altro).
E così compare un’aula, si prepara il classico buffet e siamo pronti a incontrare i professori. Intimiditi gli insegnanti mi scioccano: corpi stanchi, martoriati, privi di linfa vitale, dallo sguardo spento. A un occhio inesperto e straniero può sembrare assurdo. Queste persone sono quelle che dovrebbero incanalare i ragazzi verso un futuro ricco di curiosità, fornendo loro gli strumenti per affrontare la vita.
Si comincia a chiacchierare in gruppo e il quadro diventa chiaro.
Le storie che hanno da raccontare sono durissime. Abusi intrafamiliari ed extrafamiliari, minacce, droga, solitudine, impotenza, violenza da parte della polizia, omicidi, e per alunni trafficanti di droga che in classe seminano il terrore e dettano legge.
Una paga da fame e quasi nessuna prospettiva di miglioramento. Questo è il loro mondo. Il loro quotidiano.
Ma questi stessi insegnanti si sono interessati molto al corso avviato dal progetto La Strada delle Bambine, per la prevenzione e la lotta allo sfruttamento sessuale di bambini adolescenti.
Sono coraggiosi, vogliono partecipare al cambiamento, al miglioramento della vita dei loro ragazzi perché, malgrado gli occhi stanchi, li amano e ci tengono a offrire loro una prospettiva differente. È la cooperazione di cui ha bisogno il Brasile in questo momento: formazione partecipata. L’attenzione particolare che ricevono le favelas della zona sud di Rio de Janeiro, con la realizzazione dei tipici centri di animazione per i ragazzi, non bastano. C’è bisogno di collaborare anche con queste persone e accompagnarle e sostenerle affinchè i giovani possano sentire voci di positività, ottimismo e alternative possibili. Loro ce la stanno mettendo tutta.
Chi, come quegli insegnanti, andrebbe a vivere nel distretto di Duque de Caxias, dimenticato dallo Stato e lontano dalle luci della zona sud di Rio de Janeiro? Non per un mese di volontariato, non per sporadiche visite durante il servizio civile, non un paio d’anni ma… per una vita??!
Il Brasile ha ancora bisogno di aiuto, nonostante la testarda volontà del governo di trasmettere esclusivamente un’immagine di grande e prospera potenza economico-politica.
Sono ormai pochissimi i fondi erogati in quanto la situazione del Paese viene classificata come “non prioritaria”.
Ma il Brasile ha ancora bisogno di aiuto, nonostante gli enti finanziatori la pensino diversamente.

Sarah Reggianini,
casco bianco ProgettoMondo Mlal in Brasile

lunedì 6 settembre 2010

Non scrivete di noi operatori, ma della popolazione locale

L'equipe dei 4 operatori di ProgettoMondo Mlal, rimasti loro malgrado coinvolti nei disordini in cui è sfociata la manifestazione popolare contro il rincaro dei prezzi in Mozambico, è rientrata in Italia. Se si escludono i pochi momenti di oggettiva tensione vissuta anche a livello personale, l’attenzione di tutti loro è rivolta oggi ai partner mozambicani che in queste ore hanno vissuto e stanno ancora vivendo una situazione di disagio e, più in generale, un ulteriore inasprirsi delle condizioni di vita quotidiane già difficilmente accettabili fino ad oggi: “Non scrivete di noi operatori… Spiegate cosa sta succedendo in Mozambico!”.

Abbiamo allora raccolto le prime impressioni di Ivana Borsotto, vicepresidente di ProgettoMondo Mlal, in Mozambico per rappresentare la nostra Ong a un seminario internazionale co-promosso dal Ministero di Giustizia africano e il nostro Ministero degli Affari Esteri.

Passate le ore di maggiore confusione, è stato possibile per voi capire meglio cosa sia successo?
L’incremento del prezzo del grano e di altri prodotti alimentari di base e del petrolio, dovuto anche alle speculazioni internazionali, ha indotto il governo mozambicano ad aumentare, a partire dal primo settembre, il prezzo del pane, del riso, dell’acqua, dell’elettricità, della benzina e dei servizi di trasporto pubblico, solo fino al giorno prima sovvenzionati dallo Stato.
Già nei giorni precedenti il clima sociale si era acceso con un fitto tam tam di sms per organizzare una protesta.
Il mattino di mercoledì primo settembre folti gruppi di persone, in prevalenza giovani, si sono riversate nelle strade delle periferie di Maputo, e in particolare hanno bloccato la via principale di accesso all’aeroporto.
La manifestazione ha avuto risvolti violenti con l’assalto a negozi e grandi magazzini, a distributori di benzina e ai terminal dei servizi di trasporto.
Proprio in queste ore il ministro della Salute, Ivo Garrido, ha annunciato che il numero delle vittime è salito a 13.

Vi aspettavate che potesse accadere tutto questo?
Si poteva pensare che gli aumenti avrebbero provocato una protesta: già nel 2008 in Mozambico, come in molti altri Paesi africani, come il Kenia, la Somalia e l’Egitto si erano avuti violenti scontri di piazza per il forte aumento dei prezzi dei generi alimentari.
In effetti i prodotti alimentari rappresentano oltre i due terzi del bilancio delle famiglie mozambicane: ogni aumento ne mette dunque a repentaglio la sopravvivenza.
Inoltre al momento 1 litro di benzina costa 1 euro mentre il salario medio non supera i 50 euro al mese.
L’aumento dei prezzi può dunque innescare gravi tensioni sociali e rivolte popolari anche in realtà come quella del Mozambico dove negli ultimi anni si erano ottenuti positivi risultati di crescita economica grazie a investimenti in campo agricolo, minerario e turistico.

E in generale com’è la situazione socioeconomica del Mozambico ?
L’aumento dei prezzi incide in misura particolarmente accentuata in un Paese in cui i poveri sono il 50% della popolazione, il 37% vive con meno di 1 dollaro al giorno e il 56% non ha accesso all’acqua.
In un Paese in cui il 75% degli abitanti sopra i 15 anni è analfabeta e dove l’aspettativa di vita non arriva ai 50 anni.
In un Paese in cui oltre il 60% del grano consumato viene importato e dunque drammaticamente esposto alle fluttuazioni dei mercati internazionali.
In un Paese indipendente solo dal 1975 dopo una lunga guerra di liberazione, e che risente ancora delle profonde ferite e delle distruzioni della guerra civile terminata solo nel 1991.

Cosa fa ProgettoMondo Mlal in Mozambico?
Noi siamo presenti da 8 anni nel Paese e siamo impegnati, in collaborazione con il Ministero della Giustizia e con la Direzione Nazionale delle Carceri del Mozambico con 2 progetti - sostenuti dal Ministero degli Esteri Italiano e dall’Unione Europea - per il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri, per la difesa dei diritti delle donne e dei minori carcerati e per il reinserimento sociale dei detenuti. In concreto i nostri progetti si stanno traducendo nel risanamento igienico e sanitario delle strutture carcerarie, nell’avvio di attività agricole (orti e allevamento di pollame) che migliorino la dieta alimentare dei detenuti, in corsi di alfabetizzazione e di formazione professionale e nella promozione di microimprese per il reinserimento lavorativo dei detenuti.

Come mai vi trovavate in così tanti a Maputo?
La nostra presenza in queste settimane in Mozambico era dovuta ad una missione di verifica dello stato di avanzamento dei progetti e all’impegno in un Seminario Internazionale sul sistema carcerario promosso dal nostro Ministero degli Esteri, dal Ministero di Giustizia del Mozambico e dall’Università Cattolica di Nampula.

I volti dei minatori cileni fanno tornare alla realtà

Viaggiando per il deserto del nord del Cile, dove si trova la cittadina di Copiapò diventata famosa in questi giorni per la tragedia dei 33 minatori imprigionati sottoterra, ci si chiede come sia possibile vivere in un posto del genere. Non si vedono alberi, né acqua, né campi coltivati. Solo montagne brulle, distese sconfinate di polvere e pietre a perdita d’occhio. La ricchezza sta nel sottosuolo, ed è enorme, tanto da fare del Cile il primo produttore mondiale di rame e uno dei primi di oro.
Questo tesoro nascosto, già dai primi anni del Novecento, ha attirato grandi investimenti dai paesi ricchi, le cui multinazionali ancora oggi, approfittando di regimi fiscali vantaggiosi, ricavano enormi profitti dall’estrazione di questi minerali. L’industria estrattiva rimane di gran lunga la prima fonte di ingresso per il Paese, e il prezzo del rame sui mercati internazionali è il vero indicatore da cui dipende l’intera economia interna. I servizi sociali, le pensioni, la scuola pubblica, l’esercito, sono in gran parte finanziati dai guadagni dell’industria mineraria, che è regolata da un ministero ad hoc. Gli enormi progressi tecnologici dell’ultimo secolo hanno permesso lo sviluppo di professioni molto specializzate, e sicuramente quello dell’ingegnere minerario è uno dei lavori meglio retribuiti e con maggiore stabilità.
Ma dove ci sono miniere, naturalmente, ci sono soprattutto i minatori. Anche Che Guevara, nel suo viaggio per il Sudamerica immortalato nel film “ I diari della motocicletta”, incontra, proprio vicino a Copiapò, una coppia di minatori, e quell’incontro sarà uno dei più intensi ed emotivi per il giovane, che durante il suo viaggio inizia a prendere coscienza delle condizioni di ingiustizia e oppressione in cui è costretta a vivere la gran parte della popolazione del continente.
La storia del Cile è attraversata e profondamente influenzata dalle vicende dei minatori, immigrati al nord da tutto il paese a partire dagli anni ’20, vittime di abusi e addirittura di repressioni sfociate in massacri, ma sempre all’avanguardia nella lotta per i loro diritti e per migliori condizioni di lavoro. Le loro lotte e la loro coscienza di classe ne fecero uno dei pilastri dell’Unidad Popular di Salvador Allende, quando conobbero il momento di maggior riconoscimento del loro ruolo nella società. Durante la terribile dittatura di Pinochet che seguì, pagarono un prezzo altissimo in diritti negati e vite spezzate.
In questi giorni le televisioni di tutto il mondo mostrano i volti dei 33 minatori imprigionati sottoterra, che sbucano dall’oscurità per rassicurare i loro familiari e fare loro coraggio. “Stiamo bene, siamo tranquilli, non abbandonateci”, ripetono. Sono frasi intrise di speranza, ma anche di rassegnazione e fatalismo. I minatori sanno che il crollo della galleria che li terrà imprigionati almeno per altri 3-4 mesi, si deve a una negligenza dell’azienda. Sanno che per i primi 15 giorni dopo il crollo nessuno ha dato l’allarme o si è mobilitato per aiutarli. Probabilmente non sono al corrente che i proprietari della miniera stanno negoziando con il governo affinché questo si faccia carico dei loro stipendi, dato che nei prossimi mesi non saranno “produttivi”. E sicuramente non si rendono conto che il governo stesso, in crisi di consenso, sta utilizzando la loro tragedia a fini propagandistici per migliorare la propria immagine.
Quei volti ci fanno tornare alla realtà. Il loro lavoro, durissimo e pericoloso nonostante i progressi tecnologici, era invisibile. Solo una casualità come il crollo di una galleria lo ha riportato in prima pagina, e ha rimesso al centro dell’attenzione il loro sfruttamento, le difficili condizioni di vita, e la dinamica che non sembra essere molto cambiata negli ultimi 100 anni, che considera i minatori come l’ultimo anello di una catena che arricchisce pochi con il lavoro di molti.

Francesco Pulejo
già cooperante ProgettoMondo Mlal in Cile

Maputo: la Crisi con la C maiuscola

Maputo, 4 settembre 2010 - Un famoso pezzo degli anni ottanta della cantante afroamericana Tracy Chapman suonava così:
“Non lo sapete ancora? Stanno parlando di una rivoluzione. Sembra un sussurro.[…] I poveri si alzeranno per prendersi la loro parte per riprendersi ciò che è loro”.
A Maputo, questo sussurro assume la moderna forma di sms. Ci vuole poco per creare tam tam oggi. In assenza di sindacati l’informazione corre veloce da cellulare a cellulare. Da un angolo all’altro dell’estesa capitale mozambicana.
Fino a martedì sera della scorsa settimana, le fonti ufficiali dichiaravano che non era stata autorizzata nessuna manifestazione. Il comando generale della polizia della Repubblica del Mozambico, nel definire illegittima la presunta manifestazione contro l’aumento del costo della vita, appellava alla calma e chiedeva ai cittadini di comportarsi normalmente.
Consueto risveglio dunque il giorno seguente: migliaia di pendolari – partono all’alba per recarsi al lavoro raggiungendo con i mezzi pubblici la cosiddetta “città alta” ovvero quei pochi km quadrati di grattacieli, di palazzi ministeriali, di vita lavorativa formalmente riconosciuta. Nel frattempo iniziano i disordini in alcuni punti della città: sassaiole contro i mezzi di trasporto, assalto ai negozi, pneumatici che bruciano.

La risposta è immediata. Memori di analoga esperienza a febbraio 2008 (che provocò 11 morti) per prima cosa la polizia blocca tutte le entrate della città. E poi la reazione in periferia per cercare di bloccare i moti con lacrimogeni, manganelli, spari. Le informazioni tardano ad arrivare.
Prima ancora che dalla televisione arrivano dal vociare che si sparge in una città che minuto dopo minuto diventa più deserta, più silenziosa immersa in una calma irreale, carica di tensione. E’ morto un bambino. Stava uscendo di scuola e un proiettile lo ha colpito.
Le scuole si bloccano. I genitori cercano di raggiungere i figli per riportarli al sicuro nelle case. Maputo diventa blindata nel giro di poche ore.
I lavoratori smettono di lavorare e si riversano in strada per tornare alle proprie case. I mezzi di trasporto non circolano per paura degli assalti. Non resta loro che affrontare a piedi la distanza. Molti provengono da Matola, città alla periferia Sud di Maputo che dista venti chilometri. Dalle interviste in diretta televisiva si coglie il terrore di dover affrontare la strada con la polizia che non sta a sottilizzare tra chi torna a casa, chi manifesta e chi commette atti violenti. Tutto ciò che si muove per strada è colto come pericolo.
Paura ben fondata: un giovane funzionario dell’istituto di metrologia è raggiunto da un proiettile vicino casa e muore. Cosa sta accadendo in Mozambico?
Dal primo settembre, sono entrate in vigore le nuove tariffe per l’acqua potabile e per l’elettricità. Un aumento del 14% per gli usi domestici. Il pane ha subito aumenti dal 40% al 100%.
Il resto dei prodotti alimentari aumentano in modo incontrollato per scelta dei negozianti che devono fare i conti con l’aumento dei costi degli alimenti a livello mondiale. Il riso, per prendere uno degli alimenti base, bene di importazione, da un giorno all’altro aumenta del 50%.
Ma anche i prodotti della terra hanno costi molto elevati: un kg di pomodori a Maputo costa 1,20 Euro; un Kg di patate 90 centesimi. Ogni giorno i prezzi lievitano.
Il salario minimo in Mozambico è di 2.500 Meticais equivalenti a 53 Euro circa. E’ la paga degli operai non qualificati, del personale di servizio nelle amministrazioni. Un professore di scuola elementare e media non supera i 150 Euro mensili. L’esercito di domestici e domestiche, guadagna anche meno del salario minimo e senza nessuna assicurazione lavorativa.
Per queste persone raggiungere la città alta dal proprio quartiere significa alzarsi la mattina alle quattro. Partire alle cinque per poter essere al lavoro entro le sette, districarsi tra almeno due affollati “chapas” (pullmini privati) al costo di 10 Meticais all’andata e 10 al ritorno. Per un totale di 20 Meticais al giorno (40 centesimi) in mezzi di trasporto, nonché di 4 ore di tempo da sommarsi alle 10 (minimo) di lavoro. A febbraio 2008 gli scontri sono stati causati proprio dall’aumento del 100% del costo dei mezzi di trasporto, essenziali nella vita lavorativa urbana. In quell’occasione il governo dovette intervenire per calmierare i prezzi nonostante l’aumento del costo del petrolio.
L’elevatissimo tasso di disoccupazione implica inoltre che per ogni lavoratore ci sia una famiglia allargata da sostenere con il proprio salario. L’aggregato familiare medio nelle stime ufficiali è considerato di cinque persone.
La sensazione più forte nel ritrovare il Mozambico di oggi, da Beira, a Caia e soprattutto a Maputo è che in apparenza le cose stiano cambiando velocemente: migliorano le strade, si estende la rete elettrica, la fibra ottica raggiunge anche le zone più remote del paese, gli imprenditori di tutto il mondo convengono come di consueto all’annuale fiera FACIM volta a promuovere gli investimenti nel paese. Ciononostante permane la sensazione che si tratti di un gioco di apparenze.
La visione cambia conversando con le persone: il disappunto del professore di scuola secondaria che si lamenta di non dover più guardare alla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento degli alunni ma limitarsi a raggiungere le mete fissate dai donatori internazionali, la preoccupazione di padri e madri nel voler garantire scuole private ai figli affinché ricevano una formazione minimamente dignitosa, la disillusione in ogni dove sulla capacità dei servizi sanitari che nelle zone periferiche significa guardare esclusivamente alla medicina tradizionale mentre in capitale dover racimolare migliaia di Euro per ottenere una diagnosi certa in Sudafrica. Le cifre diventano astronomiche quando si inizia a parlare di operazioni o di ricoveri prolungati.

Venerdì sembra definitivamente tornata la calma: re-iniziano a circolare le automobili, la città si caratterizza per le lunghe file ai panifici in quel mosaico di sfumature che è il vero volto del Mozambico, una terra di scambi, che ha prodotto meticciato, i cui passaggi sono scolpiti nei tratti della gente. Ciononostante gli sms continuino a propagare nell’aere maputense le cose più diverse: dall’incitare alla ripresa degli assalti (“questa sera, attacchiamo e incendiamo la portagem” - casello con pedaggio a pagamento per quanti si recano in direzione Sudafrica passando per una delle zone più popolose, il municipio di Matola) alla satira sull’atteggiamento blando del governo (“dopo una lunga sessione del Consiglio dei Ministri, finalmente si raggiunge il consenso sulla posizione dell’esecutivo nei confronti del popolo: “Futsekane!” ovvero “Via! Non rompete!” in lingua mashangana), alle barzellette (“ vi prego attacchiamo tutto ma salviamo la 2M” - la fabbrica di birra).
Nel quartiere di Mavalane, seduti al bar di un amico artista che con l’associazione “Muteko Waho” (insieme possiamo!) ha creato un circolo culturale, si commentano i fatti dei giorni scorsi assieme ad un gruppo di giovani musicisti, scrittori, scultori, pittori provenienti da tutto il paese.
Ovunque, dall’ambiente familiare alla strada, si coglie un senso di disaffezione alla politica che vuole mostrare all’esterno il volto di un paese moderno ed in piena crescita. “La verità è che manchiamo di esempi, di persone che guardino davvero al bene del paese”. La parola più frequente nella veemenza delle loro trattazioni è arroganza. Arroganza nell’apostrofare come vandalismo i fatti accaduti senza cercare minimamente di aprirsi al dialogo, al confronto, alla seria discussione dei problemi. La stessa parola che compare nel titolo di copertina di “Savana”, che offre settimanalmente qualche punto di vista alternativo, nell’edizione di giovedì 3 settembre: “Il prezzo dell’arroganza”.
Queste situazioni sono estremamente complicate da analizzare tanto nelle cause quanto nelle possibili soluzioni poiché si intrecciano inestricabilmente responsabilità esterne ed interne. In decenni di finanza selvaggia non sono stati salvaguardati nemmeno i beni primari e la crisi alimentare dovuta all’impennata dei prezzi dei cereali è significata crisi con la C maiuscola per la maggioranza dei paesi del Sud del mondo. Non di meno la scelta di cedere la terra mozambicana, da sempre considerata bene collettivo, patrimonio degli antenati, alla produzione di biodiesel anziché di alimenti affermando nei fatti la sovranità alimentare.
In un mondo sempre più interdipendente non si può evitare di associare l’aumento dei prezzi del pane in Mozambico ai roghi che hanno compromesso, lo scorso agosto, i raccolti russi di grano facendo schizzare il prezzo del cereale sul mercato mondiale. La Russia produce infatti circa il 10% del grano a livello mondiale. Un effetto farfalla drammaticamente immediato. L’aumento dei prezzi è inoltre determinato dalla forte rivalutazione del rand sudafricano raddoppiato negli ultimi sei mesi rispetto al metical, incidendo fortemente sul rialzo del tasso d’inflazione.
Il 7 settembre di ogni anno in Mozambico si ricorda l’anniversario degli accordi di Lusaka che nel 1974 mettevano fine alla guerra di indipendenza dal Portogallo e aprivano la strada all’indipendenza nazionale, proclamata il 25 giugno 1975. Qualche giorno fa, in occasione di questa festa nazionale, il governo, per voce del ministro della Pianificazione e dello Sviluppo, Aiuba Cuereneia, prende posizione e dichiara di voler intervenire per bloccare l’aumento dei prezzi. Una serie di manovre prevedono infatti il congelamento dell’aumento dei prezzi di pane, acqua ed energia, almeno fino alla fine dell’anno. Tra i propositi anche quello di tagliare alcuni benefit ai membri del governo per fronteggiare la crisi.
Il settimanale gratuito “@ verdade” (la verità) titola nel numero di giovedì 9 settembre 2010 “La vittoria del popolo”. Una vittoria dolorosa per la perdita di Hélio, il ragazzo di undici anni che è deceduto all’uscita di scuola abbracciando la sua cartella, e di altre dodici persone. Per i danni provocati dalla violenza e dai saccheggi che costituiscono un ulteriore, altissimo prezzo da pagare per l’intero paese. Per quelle domande sospese nel vuoto sull’uso di proiettili veri apparentemente senza autorizzazione.
Una vittoria fragile per la sua provvisorietà, viste le difficoltà dell’esecutivo a sovvenzionare il settore privato (tant’è che solo i panifici del settore formale potranno ricevere i sussidi governativi al fine di contenere i prezzi al dettaglio) e le pressioni del Fondo Monetario Internazionale che chiede di liberalizzare i prezzi.
Una vittoria muta dal momento che da inizio settimana risulta impossibile inviare e ricevere sms su entrambe le reti di telefonia mobile del paese le quali si sono premurate di informare che non ci sono problemi tecnici di sorta relativamente al disservizio. Una vittoria che sa un po’ di censura.
Forse non è proprio una vittoria come quella che si celebrava nel 1974 carica com’era di speranza in un futuro migliore. C’è ancora molta strada da percorrere affinché la libertà che si auspicava con l’indipendenza sia anche libertà dalla povertà e dalle disuguaglianze.
Echeggia dunque il ritornello della canzone iniziale: “So you better run run run… run run”. Meglio affrettarsi dunque, correre e concorrere al ripensare la politica, l’economia, la cooperazione e - più in piccolo - come abitare questo mondo ovunque ci si trovi.

Jenny Capuano,
direttrice del Centro di Formazione alla Solidarietà Internazionale