giovedì 31 marzo 2011

Spari e disordini, copriuoco in Burkina

Ancora una notte di spari, e questa volta hanno sparato anche con armi pesanti. Tutti i negozi e le banche sono chiusi.
Nel primo pomeriggio di ieri 30 marzo, un gruppo di militari è comparso nelle strade di Bobo Dioulasso e, dopo un veloce tam tam telefonico, sono stati chiusi tutti i negozi. Per precauzione anche i nostri uffici di ProgettoMondo Mlal. La città è presidiata da militari.
Da ieri sera vige il copri-fuoco su tutto il territorio nazionale, dalle 21 alle 6 del mattino. Il presidente ha parlato alla nazione. E oggi dovrebbe incontrare tutte le autorità militari.
I militari sono tornati a sparare. Stanotte, è stata la volta di Banfora. Nei giorni scorsi i militari hanno invaso e saccheggiato le case del Ministro della Difesa, del generale di Stato maggiore e del sindaco della capitale.
Nel corso di queste incursioni è rimasto ferito il sindaco di Ouagadougu, ora ricoverato nell'ospedale della presidenza e dichiarato fuori pericolo. Ciò nonostante non si sa ancora cosa sia accaduto esattamente.
Qui a Bobo Dioulasso la situazione pare al momento tranquilla. Per sicurezza abbiamo chiesto alla nostra equipe nel Paese di osservare le misure di sicurezza e di sospendere le attività fino a quando la situazione non si confermerà tranquilla.
Al momento è difficile capire cosa stia accadendo e quali siano i reali motivi scatenanti. Apparentemente è la base stessa dell’esercito che sta manifestando il proprio malumore nei confronti dei propri vertici al governo per i provvedimenti presi rispetto ad alcuni militari accusati di avere usato la forza le manifestazioni studentesche di un mese fa.

Circa un mese fa, le manifestazioni di piazza erano costate la vita a 4 studenti e altre 5 persone. Poi, nel corso dell’ultima settimana, l’escalation: nel cuore della notte un gruppo di militari ha cominciato a sparare per chiedere la liberazione di 5 compagni arrestati e giudicati colpevoli di violenze contro un civile. Nella sparatoria, sono stati distrutti negozi e provocato danni alla Maison des Avocats e al Palazzo del Tribunale. La risposta del governo è stata di liberare subito i 5 militari.
Parallelamente, però, hanno cominciato a protestare anche altre categorie “vittime” dei disordini di piazza innescati dai militari: i commercianti che chiedono conto dei danni subiti e il sindacato degli avvocati e dei magistrati che annunciava la sospensione di tutte le attività giudiziarie per timore di nuove rappresaglie. Avevano spiegato di non sentirsi più sicuri nel loro lavoro e di non essere d’accordo con il principio di impunità concesso ai militari.
Quindi, gli episodi di violenza da parte di militari, si sono estesi anche alla città di Fada dove, i militari hanno ripetuto la dimostrazione realizzata a Ouaga sparando e liberando un commilitone arrestato per violenza su un minorenne.
Da Fada, poi, si sono spostati in altre due città e sempre continuando a sparare.
Avvocati e magistrati, riuniti in assemblea generale per protestare con il proprio sindacato che aveva annunciato al sospensione delle attività giudiziarie, hanno appreso che i militari stavano lanciando ordigni esplosivi contro il governatorato di Fada. Per questo hanno immediatamente condannato l’episodio violento e confermato la sospensione delle attività giudiziarie.
Nelle scorse ore, si è sparato ancora a Ouaga e a Gaoua, tra l’altro sedi anche di nostri Progetti. I nostri animatori di terreno sono comunque andati regolarmente nei villaggi per le attività quotidiane.
Per il momento è tutto, pas de panique e vediamo che succede.

equipe ProgettoMondo Mlal
Burkina Faso

La rivoluzione dei pantaloncini kaki

da Bobodioulasso - Sono da poco arrivata in Burkina Faso e, subito, mi sono imbattuta in una situazione politica molto particolare.
Sfogliando le pagine dei maggiori giornali locali, come quelle de “L'Observateur”, ci si imbatte pressoché ogni giorno nei cosiddetti ‘fatti di Koudougou’, e nella cronaca degli eventi che ne sono derivati, su quella che é stata già ribattezzata la “Revolution en culottes kaki”, per via del colore delle divise scolastiche. Si tratta della rivolta degli studenti che da più di un mese manifestano in diverse città del Burkina Faso a seguito della morte di un ragazzo, Justin Zongo, avvenuta la notte tra il 19 e il 20 febbraio 2011, a Koudougou.
Secondo gli studenti, Justin sarebbe morto a causa delle percosse ricevute dai poliziotti, i quali, diversamente, sostengono di aver convocato il ragazzo per tre volte a partire dal 17 dicembre, dopo aver ricevuto una denuncia a suo carico da parte di una compagna di classe, ma di aver appreso del suo decesso il 22 febbraio e appurato che esso sarebbe dovuto a meningite.
Sulla questione non è ancora stata fatta chiarezza, ma a partire dal 22 febbraio giovani e studenti sono scesi in strada per manifestare e chiedere giustizia e verità riguardo la morte del loro compagno. Le manifestazioni sono state violente e lo scontro con le forze dell’ordine ha portato a un bilancio finale di 6 morti - quattro studenti, un poliziotto e un meccanico coinvolto casualmente- e numerosi feriti. La rivolta si è estesa dapprima nelle altre località della provincia e successivamente nelle città dell’intero Paese, caratterizzata da scontri piuttosto violenti in cui sono stati incendiati o danneggiati numerosi edifici tra cui i commissariati di polizia, la residenza del Governatore della Regione del Nord, la sede del Consiglio Regionale, etc.
Già nelle manifestazioni del 22 febbraio si erano ascoltati slogan come ‘la Tunisia è a Koudougou’ e ‘Il Burkina avrà il suo Egitto’. Di sicuro i giovani hanno manifestato anche forti delle esperienze vissute dai loro coetanei in Tunisia, Egitto e Libia.
Per quanto riguarda la situazione a Bobo-Dioulasso, dove si trova l’ufficio di ProgettoMondo Mlal, è tutto abbastanza tranquillo, ci sono state delle manifestazioni a fine febbraio ma senza risvolti violenti. Gli interrogativi sull’intera questione sono però tanti, soprattutto ciò che manca è una reazione da parte del governo, il quale si è limitato a fare la conta dei danni provocati dai manifestanti e a condannare le derive violente.
Diversi cittadini hanno sottolineato la scarsa attenzione rivolta alle problematiche del proprio Paese in favore della questione della Costa d’Avorio –la quale attraversa da 10 anni un’impasse politica molto pesante e che attualmente è nuovamente ripiombata in una situazione di guerra civile (i dati ONU rivelano che circa 460 persone sono morte dalla fine del 2010 ad oggi), dal momento che a seguito delle elezioni tenutesi il 28 novembre 2010, il Presidente in carica Gbabo, non ha voluto riconoscere la vittoria del suo rivale Ouattara-. In un articolo dell’Observateur del 15 marzo, un insegnante accusa la mancata attenzione rivolta ai fatti di Koudougou e afferma che ‘sarà meglio riflettere sul fatto che in Tunisia è stato un venditore ambulante a determinare la dipartita di Ben Ali’.
L’UNEF - l’Union des Etudiants du Faso-, diverse sigle sindacali come ad esempio la CGT-B -Confédération Générale du Travail du Burkina-, i partiti dell’opposizione e gruppi società civile, hanno emesso delle dichiarazioni e avanzato richieste ben precise : la creazione di una commissione d’inchiesta indipendente sul caso Zongo, la riforma del corpo di polizia, la presa in carico dei feriti durante le manifestazioni del 22-24 febbraio e le dimissioni dei Ministri della Sanità e della Sicurezza per non aver ancora fatto chiarezza sugli avvenimenti di Koudougou.
Le scuole sono rimaste tutte chiuse fino al 28 marzo per far calmare le acque e cercare di ridurre le possibilità di manifestazioni studentesche. Alla ripresa, non sappiamo di nuove manifestazioni anche perché, in queste ore, tutta la stampa e il Paese sono concentrati su nuovi avvenimenti violenti causati stavolta dalle forze militari.

Luisa Gelain
Casco Bianco in Burkina Faso

Honduras, il governo ci riprova e la gente scende in piazza

Sono passati quasi due anni dal golpe in Honduras che ha deposto il presidente Zelaya. Ma il governo non ha cambiato strategia per rispondere a voci discordanti e alle manifestazioni di disagio del suo popolo.
Nel luglio del 2009 il governo provvisorio aveva oscurato il segnale della Cholusat Sur, una delle due televisioni indipendenti del Paese, per impedire venisse criticata la mancata e distorta informazione che imponeva il “presidente” Micheletti.
Ieri, 30 marzo 2011, ci riprova, questa volta spegnendo direttamente la luce e disattivando le linee telefoniche e internet. Per buona parte della giornata il Paese non ha potuto né comunicare né seguire ciò che stava accadendo giù nelle strade.
Ci sono state grandi manifestazioni di insegnanti, studenti e del Frente de la Resistencia. Proprio adesso sono tornate in funzione sia luce che canali di comunicazione e un po’ alla volta si scopre che la rivolta ha portato a scontri e al solito amaro bollettino di manifestanti feriti.
Ha aggravato la situazione il fatto che a questa manifestazione civile, già in programma in molti dipartimenti del Paese, si è aggiunta quella dei docenti e quindi forse ha preso dimensioni più ampie, inaspettate.
Ci ferisce che nessuno si occupi dell'Honduras in questo momento. E l’unica cosa che possiamo fare è sperare che la situazione si tranquillizzi. Il grave è che, come spesso abbiamo visto, si calmerà solo con l'uso dell'esercito!

equipe ProgettoMondo Mlal Honduras

mercoledì 30 marzo 2011

A Lima "Il mestiere di crescere"

Il mestiere di crescere”. Questo il nuovo progetto inaugurato oggi 30 marzo a Lima e che segue all'impegno ormai decennale di ProgettoMondo Mlal con i bambini lavoratori del Perù e dell'America Latina.
Con il nuovo programma l'obiettivo diventa ora quello di sostenere direttamente le organizzazioni di bambini lavoratori di tre diversi Paesi, Bolivia, Colombia e Perù, per aiutarli nel processo di sensibilizzazione delle istituzioni dei loro rispettivi Paesi e, più un generale, per promuovere e tutelare ancora una volta i diritti umani di bambini e adolescenti lavoratori.
Quei bambini per il quale il lavoro rappresenta spesso una risorsa indispensabile per poter svolgere gli stessi studi e crescere con dignità e che chiedono quindi leggi necessarie a renderlo adeguato alla loro età e a tutelare loro diritti di bambini.

lunedì 28 marzo 2011

Gente in piazza anche tra le montagne del Marocco

Noi volontari di ProgettoMondo Mlal in Marocco abbiamo potuto avere un primo assaggio degli sconvolgimenti che stanno interessando il Nord Africa e il Medio Oriente: il 20 marzo in tutto il Paese si sono svolte manifestazioni organizzate dal movimento giovanile nato il 20 febbraio, cortei e sit-in nelle principali città marocchine che hanno visto scendere in piazza 35.000 persone circa, secondo le stime delle autorità (è ovviamente battaglia di numeri con gli organizzatori, che parlano di un centinaio di migliaia di manifestanti).
Anche a Beni Mellal, nella cittadina dove io e Arianna siamo arrivati da solo quattro giorni, è stato organizzato un corteo. La fibrillazione per l’evento era palpabile già il giorno prima, quando un signore ci ha fermati nel mercato della medina per avvisarci du grève in programma, invitandoci a rimanere a casa per sicurezza. L’indomani, consapevolmente incuranti delle raccomandazioni ricevute, usciamo lo stesso nel primo pomeriggio dalla nostra nuova casa per incontrare degli amici conosciuti qui a Beni Mellal, per bere qualcosa al caffè e osservare “da lontano” questa giornata di straordinaria mobilitazione cittadina.
Arrivando nei pressi della via principale di Beni Mellal, Rue Muhammad V, si iniziano a sentire le grida degli slogan, le voci amplificate dal megafono dell’incitatore di turno.
Non riusciamo a scorgere immediatamente il corteo, che è nascosto dietro una curva, ma la percezione è subito che ci siano tante persone per strada. Ci accorgiamo invece che il traffico è fermo lungo questa arteria principale, la polizia stradale ha bloccato le macchine e le ha deviate verso altre direzioni. Giriamo l’angolo che ci impediva di scorgere i manifestanti e proviamo immediatamente una sorta di brivido, un po’ di emozione forse, perché ci sembra di assistere a qualcosa che fino ad allora avevamo visto solo in tv, nei primi titoli dei telegiornali.
È davvero emozionante vivere così da vicino un momento come questo per il Nord Africa.
I dimostranti sono pochi, non più di 200-300 persone: scandiscono slogan, brandiscono cartelli contro il Makhzen (l’élite, i notabili marocchini al potere) e a favore della libertà di stampa e espressione. È una massa composita, di giovani, bambini, adulti, donne e uomini. Alcuni sventolano la bandiera marocchina, altri invece srotolano e innalzano la coloratissima bandiera degli Amazigh, gli uomini liberi, i berberi.
Il corteo sembra capitanato da un giovane portato a spalle che, coperto da un una bandiera raffigurante il Che, scandisce frasi riprese da tutti i manifestanti. Ci accorgiamo anche che è presente un buon numero di donne ma, la cosa che ci incuriosisce di più, è che sfilano tutte insieme nel lato destro del corteo. Non ne scorgi altre nel mezzo, sono tutte lì: alcune tengono per mano i loro bambini, altre scandiscono gli slogan.
Rimaniamo a guardare al lato della strada, insieme ad altri marocchini che osservano il corteo senza prendervi parte. I dimostranti ci passano accanto, qualcuno ci guarda, forse un po’ stupito di vederci lì, in quella situazione. Tutto finisce nel giro di venti minuti, poco più; la manifestazione prosegue verso la piazza della medina dove terminerà senza incidenti di alcun tipo.
Un mese dopo il 20 febbraio, il Marocco sembra, al momento, ancora distinguersi dal resto del Maghreb, e del mondo arabo in generale: in queste settimane le manifestazioni si sono svolte in un clima, il più delle volte, tranquillo (a parte qualche violenza un paio di settimane fa a Casablanca) e il re, Sua Maestà Muhammad VI, il 9 marzo ha lanciato un vasto programma di riforme costituzionali, con un discorso definito “storico” da esponenti politici marocchini e internazionali.
Il vento delle riforme sembra soffiare anche qui, in questo Paese ai margini dell’attualità più violenta ma comunque sotto i riflettori del mondo intero.
Resta ora da scoprire se il cambiamento manterrà un approccio tranquillo, e se il popolo si riterrà soddisfatto delle concessioni reali; le rivendicazioni sono molteplici e provenienti da diverse categorie sociali (islamisti, amazigh, intellettuali, giovani…) e accontentarle tutte potrebbe rivelarsi una sfida complicata per il potere.

Antonino Ferrara,
casco bianco ProgettoMondo Mlal Beni Mellal, Marocco

giovedì 24 marzo 2011

Giorno della memoria in Argentina. Per ricordare 30mila desaparecidos

..Senza memoria sarebbe impossibile guardare al presente e, ancor meno, costruire un futuro degno di essere vissuto. Senza verità, valori centrali come la sincerità e l’onestà smetterebbero di esistere. E senza giustizia, regnerebbe l’impunità e i crimini e tragedia si ripeterebbero senza soluzione di continuità..” (Segreteria della Cultura della Regione di Cordoba).
Mentre in Italia qualche giorno fa (il 21 marzo) si celebrava la "giornata contro tutte le mafie" ricordando i morti per mafia nel nostro Paese, in Argentina il 24 di marzo é stato battezzato il "Giorno della Memoria, della Verità e della Giustizia". In questo giorno, per una legge nazionale del 2002, si evocano le 30.000 vittime del terrorismo attuato dopo il colpo di stato del 24 marzo 1976 con cui l’esercito argentino prese il potere.
La dittatura militare, istauratasi dopo quel giorno, era parte di una strategia globale per l’America Latina, che in Argentina durò dal 1976 al 1983, portando terrore, sterminio e aumento del disagio sociale, dovuto a politiche antipopolari che disindustrializzarono il paese, concentrarono la ricchezza in poche mani e aumentarono povertà, disoccupazione e indigenza.
Durante il cosiddetto “processo di riorganizzazione nazionale” promosso dai gradi superiori dell’esercito, sono stati sequestrati, torturati e uccisi migliaia di argentini e argentine che si opponevano al regime militare e che, come ha detto una delle madri delle vittime, Emilia Villares de D’Alma, “sognavano un paese migliore”. Il terrore creato dalle forze militari aveva l’obiettivo di neutralizzare qualsiasi forma di dissenso politico: le persone sparivano in un alone di mistero, paura e omertà.
L’Argentina vive ancora con la ferita di quegli anni che hanno segnato tutto il Paese, anche se ci sono stati notevoli passi avanti nel riconoscimento dei fatti successi. Un esempio sono le molte associazioni nate negli anni della dittatura per protestare, manifestare, denunciare, e che dall’essere perseguitate sono passate a coprire ruoli importanti nella vita sociale del paese: Madres, Abuelas, Hijos, Nietos de Plaza de Mayo sono alcune tra queste. Tutte unite da un grande e unico obiettivo: quello di dare voce alla memoria, alla verità e alla giustizia.
Oggi, 24 marzo 2011, a 35 anni dal colpo di stato, queste associazioni organizzano attività sociali, culturali e politiche e sono previste marce in tutto il territorio argentino per ricordare tutto ciò.
Siamo figli di una stessa storia, di una generazione che ha lottato per un paese più giusto e per questo “desaparecieron” (scomparvero)” ....queste parole sono di Martin e Ramiro, due dei 103 ragazzi che hanno potuto scoprire le loro vere origini e di essere figli di desaparecidos. Sono i “Figli apparsi (aparecidos)” delle Abuelas di Plaza de Mayo, ovvero le mamme dei ragazzi che la dittatura ha fatto sparire, e che ancora continuano a cercare i loro nipoti. Attraverso il test del DNA e una banca dati che si incrementa di 10 persone a settimana (secondo Nicolas, un ragazzo volontario nella filiale dell’associazione Abuelas di Cordoba), si può cercare di risalire alla propria famiglia biologica e tutte le persone nate tra il 1976 e il 1981 e in dubbio sulla propria identità possono sottoporsi all’esame. Come “pezzi di un puzzle” le abuelas e la loro equipe stanno ricostruendo le identità di moltissimi ragazzi e ragazze che ancora non conoscono le loro vere origini. “Ho vissuto 32 anni come un fantasma” ha detto Francisco Madariaga Quintela, nipote numero 101 che ha trovato la propria identità grazie alle abuelas. L’associazione Abuelas de Plaza de Mayo oltre a recuperare i figli dei desaparecidos del terrorismo di stato, ha dato alla comunità nazionale e internazionale il quadro legale e culturale perché questo delitto non si ripeta più in nessun posto del mondo.
L'Argentina, a differenza di altri paesi latino-americani, ha intrapreso un cammino politico verso il riconoscimento della propria storia e di giudizio dei fatti. Leggi, risarcimenti, e inizio dei processi (molti dei quali nell'ultimo anno), sono alcuni dei provvedimenti che hanno intrapreso governi nazionale e locali sulla base dei diritti umani.
A gran voce tutte le associazioni che marciano in questa giornata chiedono: processo giusto per tutti i militari e le persone implicate nei crimini in quegli anni, con apertura di tutti gli archivi della dittatura e l’apparizione in vita di Julio Lopez, uno dei più importante testimoni in un processo e misteriosamente scomparso prima dell’udienza. Questo ultimo fatto fa capire come ci siano ancora frange della popolazione che per paura della giustizia o per indifferenza, la ostacoleranno sempre.
Oggi l’Argentina si stringe insieme alle Abuelas e alle persone che hanno sofferto nella storia argentina, ma che hanno saputo sfidarla e che stanno ancora cercando giustizia e verità, attorno ai 30.000 desaparecidos, ai nipoti “apparsi” e ai 400 che mancano all'appello.

Francesco Venturin,
casco bianco ProgettoMondo Mlal Argentina

mercoledì 23 marzo 2011

Bolivia protagonista a “Fa la cosa Giusta”

Dall'Amazzonia all’altopiano andino, a contatto con i campesinos o gli indigeni boliviani in più di venti comunità dislocate in tutto il Paese. Oppure immersi nella natura brasiliana, in visita al movimento dei Sem terra al suono dei tamburi dei giovani di Axe Lata, ospiti del centro culturale "Casa Encantada".
Proposte di turismo responsabile che ProgettoMondo Mlal presenterà nei prossimi giorni ai visitatori di “Fa la cosa giusta, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibile che si terrà alla fiera City di Milano dal 25 al 27 marzo.
Con la nostra organizzazione, presente nella piazza de turismo solidale allo stand TS3, ci sarà anche TUSOCO, la rete di associazioni boliviane, partner di ProgettoMondo Mlal nel programma di sviluppo “Bienvenidos!” avviato nel febbraio dello scorso anno proprio per offrire ulteriori possibilità di sviluppo al turismo solidale del paese andino.
Un Paese che, come ben spiega il coordinatore nazionale di Tusoco, Sandro Saravia, ha “scoperto” la realtà del turismo solidale da una decina di anni per dedicarvisi con sempre maggiore attenzione dal 2004, e che nel 2009 ha visto nascere anche Tusoco Viajes, una vera e propria agenzia di viaggi che appoggia parte di quelle realtà (22 in tutto) che già fanno parte della rete Tusoco e che si occupano appunto di turismo.
“Per contenere l'emigrazione giovanile dal nostro Paese e allo stesso tempo favorire l'economia locale, oltre che per l'agricoltura, l'allevamento e l'artigianato, da qualche anno in Bolivia si è sviluppata una certa attenzione anche per il turismo. Un turismo che rispetti però l'identità campesina indigena e valorizzi la cultura locale, che non si limiti a qualche foto veloce della realtà visitata, ma che comporti un reale interscambio, e che sia inoltre attento anche a distribuire gli introiti in maniera più democratica ed equa a chi vi lavora”.
Una strada non semplice, soprattutto per l'incapacità di batterla da parte della politica pubblica.
“Facciamo molti più sforzi noi rispetto allo Stato”, continua Saravia, “per questo è importante sensibilizzare i governi municipali sull'importanza di lavorare giorno dopo giorno in questo senso, e abbandonare l'idea che il turismo di questo tipo si esaurisca in una fiera nazionale o poco altro”.
ProgettoMondo Mlal ha tra i suoi obiettivi proprio il coinvolgimento dei municipi boliviani, perché il turismo comunitario sia inserito nelle politiche di sviluppo locale. Oltre a uno sguardo particolare alla formazione degli stessi operatori e alla promozione delle attività e mete proposte.
Proposte di turismo responsabile che vanno dalla foresta amazzonica agli altopiani andini, a contatto con strutture confortevoli e assolutamente integrate all’ambiente naturale, gestite professionalmente dagli abitanti delle comunità.
Escursioni in canoa, trekking e visite naturalistiche, sono solo alcune delle proposte in campo, insieme a lezioni per imparare a tessere, intrecciare la paglia o pescare con l’arco, ed escursioni finalizzate a conoscere tradizioni e sapori nuovi a diretto contatto con la gente.
Luoghi e realtà che sono state meta recente di una delegazione che a visto tra i partecipanti il responsabile dell'area turismo responsabile di ProgettoMondo Mlal, Gianni Cappellotto, insieme a Maurizio Davolio, presidente di Aitr (associazione italiana di turismo responsabile di cui la nostra organizzazione è tra i soci fondatori), e il fotografo Aldo Pavan, che ha documentato la visita con un breve reportage multimediale consultabile sul sito di “Io Donna”.

Oltre alla presenza nello stand, ProgettoMOndo Mlal proporrà una presentazione pubblica con video e foto alle 16 di venerdì 25 marzo.
Un'occasione imperdibile per chi, quando viaggio, è alla ricerca di un contatto diretto con la popolazione del paese di destinazione: pronto a rinunciare alle solite mete, per addentrarsi veramente nelle tradizioni e nelle comunità locali.

martedì 22 marzo 2011

Bolivia: Per un carcere senza polizia

Io non immagino un carcere senza polizia, io lo sogno! E spero che questo diventi realtà il più presto possibile”. Ramiro Llanos Moscoso, ex direttore di regime penitenziario nazionale boliviano, riflette sul ruolo della polizia penitenziaria, anche alla luce del nuovo centro di reclusione minorile Qalauma inaugurato un mese fa nella provincia di El Alto. Il Centro per giovani trasgressori Qaluama – il primo carcere per minori nato in Bolivia – è stato realizzato da ProgettoMondo Mlal dopo un lavoro di 10 anni e, con i suoi 150 posti per ragazzi e ragazze, conta di poter restituire dignità e diritti di base, nonché un’opportunità di reinserimento sociale post-detenzione, ai giovani reclusi del Paese.
Continua Moscoso:
Le carceri del nostro Paese, amministrate dal Ministero del Governo attraverso la Direzione Generale del Regime Penitenziario, sono diventate delle discariche umane, soprattutto in quei centri dove lo Stato, già con scarse risorse, ha investito denaro nell’architettura per lasciare all'abbandono più totale le infrastrutture interne e i suoi detenuti. Dalla fondazione della Repubblica ad oggi, a carico dell'amministrazione delle prigioni c'è anche la polizia boliviana, insieme al Ministero dell'Interno, conosciuto anche come Ministero del Governo.
Già ampiamente conosciuta per le tante denunce, la polizia adibita al controllo della sicurezza penitenziaria sta perdendo sempre più l’opportunità di mantenere tale ruolo di responsabilità.
Le denunce di corruzione e di gestione arbitraria nelle prigioni sono agli occhi di tutti nel nostro Paese e nonostante questo si insiste nel volere risolvere il problema per via amministrativa.
È risaputo che nelle carceri boliviane i detenuti consumano i propri giorni tra alcol e droghe che vengono introdotte liberamente dalla porta d’entrata, sia di giorno che di notte. Nelle carceri si fanno favori illeciti, si coprono loschi affari alle porte e le relazioni di condotta inviate ai giudici vengono modificate e limate dove necessario. Come si può continuare con questo modello che non funziona?
Le carceri, così malmesse, sono del tutto inutili al fine ultimo della pena che dovrebbe essere quello di proteggere la società dai crimini, e recuperare e reinserire socialmente i condannati, attraverso la formazione e il rispetto della Legge.
Resta quindi da risolvere la problematica penitenziaria soprattutto dal punto di vista politico, per dare una risposta adeguata all’aumento di delinquenza e permettere la riabilitazione dei carcerati”.
Una risposta che Moscoso individua nella comunità che, proprio con la costruzione del nuovo centro Qalauma, ha dimostrato di sapersi imporre per la costruzione di un centro penitenziario per giovani, basato su una nuova proposta metodologica: la giustizia “restaurativa”.
“Per la felicità di tutti coloro che abitano nelle vicinanze della città di Viacha – prosegue l'ex direttore - si è realizzata "Qalauma", una prigione in cui tutto il processo di riabilitazione dei detenuti sarà affrontato con una nuova metodologia che sosterrà l’opportunità di miglioramento di vita attraverso il lavoro e l'educazione, offrirà sicurezza all’interno del centro, assicurerà che i meriti per il buon comportamento vengano valorizzati per la futura libertà dei detenuti. Tutto questo lavoro sulla pena permetterà ai giovani condannati di ritornare alla vita normale con positività e contribuire allo sviluppo della propria società.
Un nuovo programma di riabilitazione e di miglioramento di vita è stato assunto da diverse istituzioni e Ong nel centro di Qalauma, tutti noi ci sentiamo orgogliosi per aver contribuito in modo collettivo alla costruzione di questo carcere per i giovani inaugurato poche settimane fa. L’appoggio per la costruzione è giunto per il 95% da fonti private, chiese e Ong e il finanziamento statale è stato del 5%, dovendo ora l’amministrazione penitenziaria farsi carico dell’alimentazione, della fruizione dei servizi base, della contrattazione di personale tecnico e di tutto ciò che garantisca la continuità del suo funzionamento.
Tutta l'amministrazione e le funzioni di Qalauma devono essere a carico di personale civile e volontariato tecnico, questo vuol dire farsi carico di tutto ciò che è sicurezza: dal controllo delle porte a quello dell’entrata di materiali, alimenti, persone; dalle attività all’interno del penitenziario basate soprattutto sull'educazione, sul lavoro, sulla formazione di abitudini di buon comportamento, al lavoro formativo con i volontari che dovranno assumere l’obiettivo di civilizzare il centro, nel rispetto dei diritti umani.
Questo carcere non deve essere corrotto come gli altri che funzionano in questo Paese e per evitare questo nel corso della sua vita deve come minimo tener fede a questi requisiti. Prima di tutto il controllo della sicurezza interna e esterna deve essere a carico di personale civile e il carcere deve avvalersi di personale tecnico penitenziario capace. La struttura debe poi includere nel proprio centro solo detenuti fino al 25esimo anno di età e il trattamento penitenziario deve seguire un processo ben stabilito e il mantenimento di una direzione solida: il detenuto resterà in carcere finchè non avrà dimostrato cambiamenti tali da essere valutato idoneo al reinserimento sociale. Dovrà poi essere data particolare importanza allo sviluppo di attività artigianali nella prima fase di detenzione e al coinvolgimento della comunità attraverso la partecipazione attiva di volontari, oltre alla realizzazione di corsi di volontariato tecnico e l’apertura del centro ai professionisti dell'UPEA, l'UMSA e altri istituti superiori affinché concludano la loro formazione. Qalauma non deve sperimentare o improvvisare, ma garantire professionalità e efficacia alla metodolgia penitenizaria, deve lavorare nella consapevolezza che i carcerati possono aiutarsi a vicenda nella riabilitazione e no scordare mai che il Centro è un carcere e che le persone che lo popolano stanno scontando una pena per gli errori che hanno commesso o per ciò che le loro azioni hanno causato. La disciplina, l’integrazione con gli altri e il rispetto del lavoro comune sono valori essenziali da tenere saldi per la qualificazione della struttura e per il futuro dei giovani carcerati.
Tutto quello che verrà fatto a Qalauma servirà in futuro da un lato per dimostrare che si possono dirigere centri penitenziari con personale civile, dall’altro per spingere l’elaborazione e l’approvazione di una Legge di Giustizia Penale Giovanile, assente nel nostro Paese”.

lunedì 21 marzo 2011

In rete per promuovere integrazione e intercultura

Nella mia città nessuno è straniero! Iniziative per coinvolgere e valorizzare nuovi soggetti sul territorio in un cammino di cittadinanza”. Questo il progetto presentato dalle associazioni aderenti al Cartello “Nella mia città nessuno è straniero” venerdì scorso, nell’imminenza del 21 marzo, Giornata Mondiale contro il Razzismo.
ProgettoMondo Mlal, che fa parte delle oltre 50 associazioni e organizzazioni veronesi che a partire dal 2008 aderiscono al cartello, porterà avanti l'essenza del nuovo progetto, perfettamente in linea con gli obiettivi che l'organizzazione da sempre si pone: coinvolgere gli studenti attraverso la lettura e la scrittura, promuovere iniziative di impatto per la cittadinanza, per ricordare che tutti, ciascuno con le proprie sfumature, siamo esseri umani, e che le diversità possono essere un valore.

Nel 2010, come era accaduto anche nei due anni precedenti, alcune associazioni aderenti al Cartello “Nella mia città nessuno è straniero” hanno unito le loro idee, energie e competenze, per progettare insieme una serie di interventi da realizzare nel territorio di Verona e provincia nel corso del 2011, al fine di sensibilizzare la comunità verso uno spirito di maggiore accoglienza e rispetto per i migranti: risorse fondamentali non solo dal punto di vista economico, ma anche culturale.
Lo stimolo all’iniziativa è arrivato dal Centro Servizio per il Volontariato di Verona, che ogni anno offre un contributo alle associazioni che decidono di mettersi in rete per coprogettare interventi che rispondano in modo innovativo ai bisogni del territorio veronese.
«Il nostro compito è sostenere le associazioni di volontariato offrendo contributi ai loro progetti – dichiara la presidente del CSV Elisabetta Bonagiunti -. La difesa dei diritti delle persone passa attraverso chi riesce a portare attenzione sui problemi e a produrre cambiamenti. Noi puntiamo molto sui progetti in rete, che apportano benefici alla comunità ma anche alle associazioni che si mettono insieme per realizzarli. Ultimamente sta passando l’idea che lo stato sociale debba essere gestito con un approccio paternalistico e caritatevole. Noi volontari dobbiamo invece sostenere le persone a partire dai loro diritti».

Dal lavoro delle organizzazioni di volontariato è nato un progetto ricco e complesso, articolato in ben nove attività. La maggior parte di esse sono rivolte ai giovani: sono loro, infatti, i principali destinatari dei messaggi di accoglienza, apertura e uguaglianza, dei quali il piano d’azione vuole farsi portatore. Gli stessi giovani a cui ProgettoMondo Mlal indirizza la maggio parte dei suoi progetti in Europa e nel mondo.
La scuola, nella quale ogni giorno si trovano a stretto contatto ragazzi italiani e stranieri, rappresenta sempre di più il luogo in cui costruire una cultura dell’integrazione, capace di valorizzare le differenze.
In tre istituti superiori veronesi (Galilei, Medi e Pindemonte), sono stati realizzati percorsi didattici sulla letteratura della migrazione: i ragazzi hanno letto e analizzato alcuni testi di autori stranieri, esprimendo le loro riflessioni attraverso temi e disegni, che hanno poi condiviso negli incontri con gli scrittori stessi. I risultati di questo lavoro saranno presentati in un evento pubblico il prossimo 28 maggio al Teatro Stimate, al quale parteciperanno gli studenti, gli insegnanti e gli autori.
All’Enaip e all’Ist. Sanmicheli, alcuni ragazzi stanno invece ancora partecipando a corsi di scrittura autobiografica. Saranno valorizzati anche i percorsi interculturali realizzati nell’anno scolastico 2009-2010 dagli alunni delle scuole Massalongo, Fincato-Rosani, Giuliari e dell’Enaip: gli studenti e gli insegnanti coinvolti nelle attività stanno raccontando la loro esperienza attraverso delle interviste. Le loro testimonianze, le rappresentazioni teatrali prodotte da ciascuna scuola, e lo spettacolo “La Panchina”, realizzato nel 2010 con la regia di Alessandro Anderloni, confluiranno in due dvd.
Oltre al già citato evento del 28 maggio, diverse sono le iniziative rivolte alla cittadinanza: il 22 marzo, al Teatro Stimate, con inizio alle ore 20,30, i ragazzi della classe IIA della scuola media “Duca D’Aosta” proporranno “Una valigia piena di stelle”, uno spettacolo interculturale di musica e parole realizzato con la collaborazione dei loro insegnanti e delle associazioni “Orchestra Giovanile Veronese”, “Teatro dei Vaganti” e “Terra dei Popoli”. Un altro appuntamento importante sarà il concerto in occasione della Festa dei Popoli, il 12 giugno prossimo, a Villa Buri.
La campagna di sensibilizzazione passerà anche attraverso diversi mezzi di comunicazione: nella settimana del 21 marzo, saranno proiettati alcuni spot nei principali cinema di Verona e sarà realizzato un apposito sito Internet, collegato ai social network più diffusi (Facebook, Twitter, Youtube, Flickr).

martedì 15 marzo 2011

Guatemala, la TV italiana intervista il nostro casco bianco

Cresciuto a Nettuno, laureato a Trieste, con prime esperienze di studio a Roma, stage in Gran Bretagna, Ecuador, Uruguay, e brevi esperienze in Tunisia e Kosovo, il venticinquenne Edoardo Buonerba è ora in Guatemala con ProgettoMondo Mlal.
Un Paese dove malnutrizione e povertà misurano i tassi più alti (secondi solo alla martoriata Haiti) e dove decenni di malgoverni e violenza civile hanno lasciato una popolazione priva anche della più banale difesa e capacità di reagire a ogni tipo di avversità.
In particolare il giovane lavorerà in un Centro educativo, a Chimantenango, per garantire l’accesso all’educazione primaria ai bambini di 51 comunità che sorgono attorno al Centro Monte Cristo. In particolare si offre loro, grazie a un Programma di Sostegno a distanza, una borsa di studio, il materiale didattico ma anche una formazione professionale, un posto di salute per le prime cure mediche e, soprattutto, un’alimentazione adeguata, indispensabile alla loro crescita.
Prima di venire scelto, Buonerba diceva di sè: “Ho cercato di portare avanti negli anni di studio i miei interessi: la lettura, la scrittura, i viaggi e l’attivismo associativo. Mantengo un prioritario interesse per il mondo latino-americano e mi piacerebbe approfondire determinate tematiche accademiche attraverso l’esperienza in prima persona”.
Avendo quest’anno finito di studiare, Buonerba ha così deciso di presentare domanda per il Servizio civile all’estero: “Ho voglia di vivere un’esperienza di vita importante e su un periodo più lungo rispetto alle esperienze fatte fino ad oggi. Il progetto in Guatemala è quello che più attirava il mio interesse e mi pareva che più si confacesse all’apporto che posso dare personalmente”.
Alla domanda su cosa si aspetti da questa esperienza, Edoardo Buonerba ha confessato: “Sono convinto che l’esperienza di Servizio Civile sia un momento di crescita per il volontario, e comunque un’esperienza unica, soprattutto se fatta tra gli studi universitari e la vita lavorativa che seguirà.
Le tracce ancora forti, in me e nel mio carattere, dopo le prime esperienza fatte, mi danno grandi aspettative sull’arricchimento che potrà arrivarmi da un’esperienza di questo tipo, lungo un anno. Il fatto, poi, che questo progetto (Edad de Oro Monte Cristo) sia tutt’ora in costruzione, mi motiva maggiormente a rendermi disponibile in tutte le fasi del lavoro sul posto. Credo di avere una buona base culturale e linguistica per poter affrontare senza troppe difficoltà le sfide che via via mi si presenteranno”.

Qui sotto, Edoardo in un'intervista per la trasmissione "Mentre" andata in onda su tv2000 l'8 marzo scorso

venerdì 11 marzo 2011

E il Centroamerica si prepara al maremoto

Questa mattina ci siamo svegliati con la notizia del terribile terremoto in Giappone. Qualche ora dopo, il governo nicaraguense ha proclamato lo stato di emergenza “livello verde”. Secondo le fonti ufficiali è previsto che l'onda, sviluppatasi nel Pacifico, possa toccare la costa tra le 15.00 e le 16:00, ora locale.
Lungo i circa 447 km di costa pacifica ci sono diverse cittadine che -secondo le stime del generale dell’esercito intervistato dalle televisioni - sommano una popolazione di circa 100.000 persone.
Il piano di evacuazione dovrebbe scattare alle 12:00, a seconda dell'evolversi della situazione, e dovrebbe essere completato entro le 15:00, in modo da mettere tutti in sicurezza.
Secondo quanto diffuso dai mezzi di comunicazione, l'esercito e i vari organi di protezione civile, attendono le informazioni che arriveranno al momento dell’impatto dal Messico. Le autorità di questo Paese tuttavia hanno dichiarato che qui le onde saranno al massimo di 1 o 2 metri, e che quindi almeno per il Messico costituiscono un rischio moderato.
Speriamo solo che la popolazione venga mobilitata in tempo.
L'ultimo maremoto in Nicaragua è stato nel 1992, il bilancio allora fu di 116 morti, 68 dispersi e 13.500 senza casa. Anche questo sisma venne provocato da un maremoto originatosi nei pressi del Giappone.
Speriamo di non dover ripetere l'esperienza..

di Mitia Javier Aranda Faieta
casco bianco ProgettoMondo Mlal Nicaragua

Parte il servizio civile a Cordoba

Da pochi giorni sono approdati in Argentina i giovani caschi bianco Francesco Venturin e Arianna Giacomini che svolgeranno l’anno di servizio civile a Cordoba. I due ragazzi daranno un contributo concreto al programma di urbanistica popolare Habitando, avviato da ProgettoMondo Mlal per la ricostruzione di alcuni quartieri più marginali delle province di Cordoba e Santa Fe.
Ecco le prime impressioni di Francesco che torna per la seconda volta in questo Paese, sempre a servizio della tutela del diritto alla casa:
“Arrivati!! Dopo quasi 20 ore di viaggio e la mia valigia “in ritardo” io e Arianna siamo arrivati a Cordoba!! Il primo impatto molto positivo: un sole forte e un calore estivo ci hanno fatto dimenticare il freddo dell’altro lato del mondo..”ahhhh que bueno che!”. È bello per me poter tornare in Argentina e riscoprire alcune abitudini di questo Paese..il dulce de leche, le empanadas, i giornali, gli autisti dei bus pazzi, gli autobus in ritardo, i continui problemi e le lunghe lamentele al call center della compagnia telefonica per attivare un modem internet..insomma certe cose non cambiano poi molto!
Cordoba é una città molto estesa e conserva alcune zone storico-artistiche del cosiddetto stile “coloniale-gesuitico”, ma per la maggior parte si tratta di agglomerati di edifici di vari stili, dimensioni, colori, forme..dove tra tutte predominano i mattoni faccia-vista e il vetro. Ci sono una quantità infinita di auto, taxi e autobus che corrono a velocità folle e che sono un grande pericolo pubblico e di sicurezza per chi come me va a piedi!! Già dai primi giorni, come neo-arrivati, stiamo cercando di ambientarci nella città, conoscendo le persone e le varie zone, perdendoci e ritrovandoci, e imparando anche le varie abitudini e leggi che regolano la vita e gli spazi pubblici.
Anche nel Progetto siamo stati ben accolti e stiamo cercando di assorbire, nel minor tempo possibile, la maggior parte di informazioni sulle metodologie di lavoro e le differenti realtà coinvolte. Molte riunioni, valanghe di informazioni, programmi e documenti da leggere..poco a poco ci inseriamo!
Già il al quarto giorno siamo andati a visitare uno dei Progetti nella prima periferia di Cordoba, nel comune di Unquillo, dove si é arrivati ad una seconda fase di autocostruzione di abitazioni.
Abbiamo così conosciuto 12 persone che vengono da quartieri marginali, che saranno i costruttori di 5 case che ospiteranno 5 famiglie composte da donne sole con i loro figli. Questi lavoratori, attraverso un accordo promosso da AVE con il municipio e grazie ad un programma di finanziamento nazionale, sono state formate per questo lavoro. Si tratta quindi di un processo molto interessante che include diversi attori e che spinge per la creazione di vincoli tra di essi ed anche tra domanda e offerta di lavoro per la costruzione delle case, in modo partecipativo e locale. Da subito si sono dimostrati curiosi di sapere da dove venivamo, cosa facevamo e parlare un po’ con noi.
Sarà bello potermi integrare in questa equipe di lavoro e dare il mio aporte..intanto con Arianna approfittiamo dell’imminente ponte di carnevale per ambientarci.”

Francesco Venturin
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Argentina

L'inondazione non ferma il carnevale

“Ho visto arrivare il fiume, poi la montagna cadere, l’ho vista crollare e allora tutta la gente ha cominciato a scappare. I miei figli sono corsi in casa e mi hanno detto di prendere tutto ciò che potevo, perché anche noi dovevamo andare via, ma io sono rimasto.. volevo rimanere. Poi per fortuna mi hanno convinto e sono scappato via.“ Così Limber, sfollato del quartiere di Kupini, racconta sconsolato quello che è stato definito il peggior disastro naturale di La Paz fin dai tempi della sua fondazione.
La mattina del 26 febbraio, le piogge torrenziali portate dal ciclone La Niña hanno provocato la deviazione del fiume Chujlluncani, causando un’inondazione che ha portato via con sé abitazioni e infrastrutture di otto quartieri della città, per un totale di 848 ettari.
“Ho visto il fiume prendersi la casa del muratore laggiù - continua Limber - poi quella di mio figlio e poi la mia. Il giorno dopo, quando il fango si era seccato, ho piantato un palo fino al pavimento del soggiorno per misurare lo strato di terra: erano più o meno tre metri, e le fondamenta devono essere sprofondate per più di un metro. Chi ha costruito la mia casa non ha messo abbastanza cemento e ha fatto male, molto male. Non è stata colpa mia, io avrei voluto metterne un po’ di più ma poi alla fine questo è ciò che è successo. Guarda, qui c’erano tre appartamenti, io ho quattro figli e vivevano là.”
Si calcola che almeno 600 famiglie si trovino in stato di emergenza, non potendo accedere né alle loro case né ai loro averi, sepolti sotto metri di macerie e fango.
Un responsabile dell’Alcaldìa (Municipio) ha dichiarato che il termine dei lavori di riabilitazione dell’area è stato fissato per giugno, prevedendo una prima fase - cominciata la scorsa settimana - volta al recupero di materiali da costruzione e asfalto; una seconda fase di sgombero dei detriti e una terza di riunioni e consulenze tecniche volte a generare progetti di ricostruzione.
Nel frattempo, gli sfollati vivono fra le tendopoli d’emergenza di Kupini e Callapa e i ricoveri allestiti dal municipio e dalle comunità religiose, ricevendo pasti gratuiti nelle mense popolari dei quartieri e beni di prima necessità dal governo, dall’esercito e dalle numerose associazioni che si sono mobilitate nelle ultime due settimane. Molti ancora non si vogliono allontanare dalle proprie abitazioni, come Limber e la sua famiglia per esempio, che ora alloggia in un collegio militare vicino al suo quartiere e di lì non vuole spostare “finché non ci sarà un sistema di vigilanza sui nostri terreni: rischiamo che ci siano furti o che scoppi un incendio nel parco vicino. Quindi no, non ce ne andremo finché qualcuno non si prenderà cura di ciò che è rimasto delle nostre case”.
Nonostante la tragedia in atto e il blocco imposto dall’Alcaldìa alle principali celebrazioni del carnevale, i paceños (abitanti di La Paz) non hanno voluto rinunciare ai festeggiamenti di rito, dalla celebre sfilata dei bambini nel centro alle feste private di uffici e negozi fino alle ch’alla, le benedizioni rituali del martedì grasso, dando luogo ad una riflessione ben espressa dal quotidiano La Prensa nel suo editoriale: “Il carnevale, in un certo senso, può aiutare a dimenticare il disastro in un modo coerente con l’attitudine dei boliviani, poiché esistono tradizioni che né le minacce delle autorità né il senso di perdita possono far dimenticare”.
Per me e Diego, caschi bianco giunti in Bolivia da pochi giorni a servizio del programma Qalauma, Giovani Trasgressori, l’anno di Servizio Civile è cominciato così, fra i colori e il caos, tra le note di un classico carnevale sudamericano, la fragilità di una capitale e la consapevolezza che a La Paz un’inondazione può inghiottire centinaia di case, ma non la forza d’animo e la voglia di ricominciare dei suoi abitanti. Un benvenuto complesso, ma utile per cominciare a comprendere la realtà in cui ci troviamo e nella quale vivremo per i prossimi 12 mesi, a contatto con i giovani detenuti che il Centro di Viacha accoglierà nelle prossime settimane.

Simona Durzu
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia

lunedì 7 marzo 2011

8 marzo, Viva le donne!

In ogni tempo, in ogni paese c’è una donna che lotta per essere una donna libera.
Una giornata sola non basta per ricordarsi di loro, per questo ProgettoMondo Mlal vi invita a festeggiare l’8 marzo con un segno che non appassisca nel corso di poche ore, ma che possa crescere nel tempo e maturare. A fronte di una donazione minima di 5 euro, il segnalibro realizzato da ProgettoMondo Mlal testimonierà il prezioso sostegno al protagonismo femminile nel Sud del Mondo, un segnale di solidarietà concreto e indispensabile per finanziare un programma di sviluppo in America Latina e Africa, dove dignità, libertà e autonomia delle donne ancora non sono riconosciute.
Con i suoi 44 anni di esperienza nel campo della cooperazione internazionale, ProgettoMondo Mlal è da sempre al fianco delle donne per restituire loro opportunità e strumenti che le rendano protagoniste del proprio sviluppo personale e professionale, perché dietro ogni donna c’è una famiglia, un villaggio, una comunità e solo valorizzando il loro ruolo in settori come salute, istruzione, agricoltura, artigianato e giustizia, contribuiremo a combattere ingiustizia e discriminazione, di genere e di etnia.
Insieme possiamo fare molto per loro, permettendo alle donne di vivere con dignità la loro condizione di madre, di medico, di studente, di imprenditrice, di contadina, di detenuta, di migrante e di artigiana. Non è facile ad esempio essere mamma in Burkina Faso: lì l’accesso alla salute per sé e per i propri figli non è scontato. Il programma Donna Felicità lavora proprio per agevolare questo aspetto. E ancora nel difficile contesto del Congo, siamo a fianco della Dott.ssa Chiara Castellani nella formazione di giovani e valide operatrici sanitarie; con Scuola e Sviluppo e Edad de Oro Monte Cristo garantiamo il diritto all’istruzione scolastica di base per bambine e adolescenti dei villaggi berberi marocchini e delle comunità rurali guatemalteche; ad Haiti poi con il programma Piatto di Sicurezza rafforziamo la rete di contadine e produttrici per il miglioramento delle condizioni alimentari, nell’area colpita dal terremoto del 12 gennaio 2010. A sostegno di iniziative di tipo economico, Futuro Giovane in Nicaragua lavora con giovani imprenditrici nei settori dell’artigianato e dell’agricoltura, mentre in Bolivia Vita Campesina promuove opportunità economiche, produttive e sociali di cooperative di donne. In Brasile, La strada delle bambine risponde all'urgenza di tutelare i diritti delle bambine e delle adolescenti vittime dello sfruttamento sessuale. E infine in Mozambico, le donne detenute inserite nel progetto Vita dentro possono contare sul miglioramento delle condizioni di vita in carcere e di un accompagnamento nel delicato momento del reinserimento in società.
In questi difficili contesti una piccola offerta può davvero fare molto per il futuro delle donne. Dedichiamo a loro l’8 marzo perché siano davvero artefici e protagoniste della loro vita.

venerdì 4 marzo 2011

Manifestazioni studentesche anche in Burkina, 6 morti

(Marina Palombaro, cooperante ProgettoMondo Mlal Burkina Faso) -
Da una settimana ci tolgono sistematicamente acqua e luce. I collegamenti internet sono difficilissimi. Ed è così anche a Ouagadougou, nella capitale
. Probabilmente la causa di tutto sta nella crisi della Costa d'Avorio, in seguito alla quale potrebbe scoppiare un vero e proprio conflitto se la situazione internazionale non riuscirà a sbloccare la situazione.
Personalmente sono un po’ preoccupata.... Anche qui, infatti, ci sono state manifestazioni come nel nord Africa e negli altri Paesi. Nei giorni scorsi ci sono state diverse manifestazioni popolari, soprattutto studentesche, che sono costate la vita già a 5 ragazzi e a un gendarme. Dopo di questo, tutte le scuole sono state chiuse, e lo rimarranno fino a data da stabilirsi.

In questi giorni (26 febbraio-5 marzo) c'è il Fespaco, il Festival Panafricain du Ouagadougou, e al governo naturalmente preme molto garantire l’ordine di fronte alla platea internazionale.
Ma cosa succederà quando le scuole riapriranno? Difficile a dirsi. Pare che il presidente si sia offerto di rimborsare le famiglie dei ragazzi uccisi, ma se questo servirà a zittirli, non si sa. E nel caso, quale sarà la reazione degli altri studenti? Certo non potrebbe pagarli tutti...

mercoledì 2 marzo 2011

HAITI, DAL CUORE DELLA SOCIETA’ CIVILE

Il 12 gennaio 2010 è diventata per Haiti una data spartiacque. Chi conosceva il Paese prima, non potrà più dimenticare quel giorno. E chi non aveva conosciuto Haiti fino ad allora, difficilmente potrà (ri)conoscerlo oggi.
Nonostante abbia occupato le prime pagine per settimane, nonostante tra i rappresentanti dei mass media internazionali sino pochi a non esserci ancora stati, Haiti rimane un Paese sconosciuto a tutti, e totalmente diverso da qualsiasi altro. Non è America latina e non è Africa.
La cultura haitiana può definirsi afro-caraibica ma è assolutamente unica. Una cultura che tra l’altro ha dato origine alla corrente letteraria del “realismo meraviglioso”, a espressioni pittoriche e musicali del tutto originali.
Questo pezzo di isola, grande poco più di una regione italiana, ha in realtà vissuto una straordinaria storia di movimenti sociali e il tentativo, partecipato da tutta la popolazione, di costruire il proprio destino. Una storia diventata esempio per la società civile di altri Paesi.
Eppure, terremoto e colera a parte, cosa ne sappiamo oggi dei movimenti sociali haitiani? E di come si stiano muovendo il movimento contadino, il movimento femminista e quello operaio? O ancora: come stiano reagendo i partiti politici, le associazioni, le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, o la Chiesa di base.
Chiare e inequivocabili, dunque, sono queste le motivazioni che hanno spinto Marco Bello e Alessandro Demarchi a scrivere un libro sull’Haiti di oggi: “Sui mass media italiani (ma anche stranieri), a parte rare eccezioni, non è stato mai presentato il punto di vista degli haitiani di fronte alla tragedia del 12 gennaio. Le testimonianze erano sempre quelle del cooperante, del funzionario delle Nazioni Unite o del missionario. E noi – scrive Bello - abbiamo voluto invertire questo schema”.
Con una prefazione firmata da Maurizio Chierici (“La scommessa è ricostruire nel pozzo nero di Haiti una società civile in grado di manifestarsi senza piangere la carità”), “Haiti, l’innocenza violata” - Infinito Editore, 177 pagg. 13 €- ci regala una carrellata di testimonianze e interviste autorevoli, raccolte dai due autori direttamente nel cuore della società civile, e mandate in stampa per il primo anniversario del terremoto che ha sconvolto, per l’ennesima volta, passato e futuro del Paese.
Come si legge nel frontespizio, il libro vuole essere un omaggio “al popolo haitiano e alla sua lotta per una vera indipendenza” perché, ed è anche l’invito di Chierici, si possa “riammettere gli haitiani al mondo” per “progettare insieme la repubblica della dignità”.
Il libro, patrocinato da Cisv, Associazione migranti Haititalia e l’Ong veronese ProgettoMondo Mlal, che ad Haiti è impegnata da più di 10 anni con progetti di cooperazione allo sviluppo e oggi anche di ricostruzione post terremoto, sarà presentato alla cittadinanza dai suoi due giovani autori:

SABATO 5 MARZO 2011
A VERONA
alle 18.30
SALA CUM DEL CENTRO MONSIGNOR CARRARO
Lungadige Attiraglio 45

Infinito Edizioni
“HAITI, L’INNOCENZA VIOLATA. CHI STA RUBANDO IL FUTURO DEL PAESE?”
di Marco Bello e Alessandro Demarchi

I proventi raccolti dalla vendita del libro contribuiranno a finanziare le iniziative ProgettoMondo Mlal-Cisv ad Haiti.

per saperne di più: wwww.progettomondomlal.org – sostegno@mlal.org

martedì 1 marzo 2011

Caschi bianchi in Guatemala. L'avventura è iniziata

Appena arrivati in Guatemala e già protagonisti a tutti gli effetti. Sono due i caschi bianchi partiti una decina di giorni fa per svolgere un anno di servizio civile nel programma di cooperazione alla sviluppo “Edad de Oro Montecristo” avviato da ProgettoMondo Mlal per garantire l’istruzione e un’alimentazione adeguata ai bambini del dipartimento di Chimaltenango.
Edoardo Buonerba, giovane della provincia di Roma, è già stato contattato dalla redazione di “Mentre” per un’intervista che andrà in onda il prossimo 8 marzo su tv2000 sulla sua esperienza appena avviata nel Paese, mentre è di Marco Ferrero, suo alter ego torinese sul campo, il racconto, a freddo, sul primo impatto con il Guatemala e il progetto che lo accoglierà per un anno.
Ecco quanto scrive:
“13 ore di viaggio, 3 paesi, 2 continenti, ma alla fine posso dire eccoci!
La cosa che mi colpisce poco prima di atterrare in Guatemala è l’immagine di una miriade di case in stile bidonvilles unita a quella dei vecchi aerei ed elicotteri parcheggiati ai lati della pista dell’aeroporto: scene viste solo in tv e che ora si palesano davanti ai miei occhi. Mi rendo poi conto che la città è situata a un’altezza non indifferente (1500 metri!) e che lo strapiombo che interrompe la non tanto lunga pista è lì a testimoniarlo. Ringrazio il pilota della lucidità e mi avvio a recuperare il bagaglio imbarcato a Torino, sembra ormai secoli prima.
Il bagaglio, appunto, questo sconosciuto. Passo interminabili minuti in compagnia di altri sventurati aspettando un bagaglio che non arriverà: un simpatico inserviente ci spiega che arriveranno il giorno dopo con l’aereo seguente, quello di Edoardo guarda caso. Faccio la denuncia e mi dirigo all’uscita dove un signore (Mario Cardenas) tiene un cartello con su scritto il mio nome. Lui, la moglie (Micaela) e il figlio (anche lui Mario) sono venuti gentilmente a prendermi per portarmi a casa loro dove starò insieme ad Edo per i primi giorni.
Ci infiliamo in auto rimanendo subito imbottigliati in un traffico che chiamare intenso è veramente poco. Un mare di auto, bus e quant’altro, insomma molti mezzi che in Italia avrebbero già fatto il loro tempo e che qua continuano a vivere finché non esaleranno l’ultimo respiro. La mia attenzione cade sul tipo di autobus: sono quasi tutti vecchi scuolabus americani, quelli che si vedono nei film per intenderci; alcuni hanno addirittura la scritta “school” di “school bus” cancellata alla buona con uno spray nero; altri invece sembrano “preparati” da gara con adesivi e pezzi di carrozzeria sportivi; quasi tutti hanno un riferimento religioso cattolico, una scritta oppure un’immagine sacra.
Ovviamente c’è chi approfitta della coda forzata: sono i venditori ambulanti che tentano di fare qualche affare vendendo soprattutto cibo. Non mancano poi i “cartelloni viventi componibili”, ovvero 4 persone con una parte di cartello ciascuno sulla schiena a formare un unico cartello pubblicitario: uno di loro, evidentemente il più basso dei colleghi, ha sotto ogni scarpa un artigianale rialzo in legno. A contare i cartelloni dei candidati, si direbbe che si è già in campagna elettorale, nonostante manchino ancora sette mesi alla data fissata per le consultazioni (settembre).
La guida è a dir poco aggressiva, chi si ferma è perduto e le regole base della scuola guida qui non valgono. Fortunatamente dopo “solamente” un’ora circa di coda usciamo dalla città e il traffico è subito più scorrevole: la strada inizia a salire ed è tutta curve. Su di un bus stracolmo ci sono persone che, pur di non aspettare il mezzo successivo, rimangono aggrappate alla parte posteriore e laterale. Un’idea spericolata che mette i brividi solo a vederla e che Mario non esita a stigmatizzare.
Arriviamo alla fine sulla famosa Panamericana, la strada che collega gli estremi del nord e sud America. È una strada piena di tutto, dalle bici ai motorini, dagli immancabili bus alle “Ape” Piaggio usate come taxi, dai negozi con le sbarre di sicurezza a copertura totale alla gente che cammina ai lati della strada incurante del pericolo di essere investita a causa della scarsa o nulla illuminazione e dell’assenza di un marciapiede. Altro particolare: dall’aeroporto a casa Cardenas non ho visto un solo semaforo.
Arriviamo a casa che è ormai ora di cena e non rifiuto l’ennesimo pasto della giornata: frijoles (fagioli) e chorizo (salsiccia) che di sicuro non aiuteranno a prendere sonno ma pazienza, tanto per il mio fuso orario è notte fonda quindi non importa.
La cena pare proprio un momento da condividere tutti insieme chiacchierando. E’ l’unico pasto in cui tutti (o quasi) si riuniscono a tavola: padre, madre, figlio, figlia (Alejandra, la responsabile del centro Montecristo) e 2 nipotine (sue figlie); manca solamente il marito di Alejandra che torna tardi la sera e parte presto la mattina; il figlio più grande, Fredy, vive vicino con la sua famiglia e cena con i genitori solo il venerdì sera, giornata clou di riunione per i de Cardenas.
Nel primo approccio non noto particolari problemi con la lingua: a volte non capisco una parola perché in Spagna ne utilizzano un’altra per riferirsi alla stessa cosa, però è solo questione di poco per creare una nuova associazione di idee che mi aiuti a ricordarla; usano molti diminutivi, come ahorita, casita, etc.; finalmente qua posso usare il “lei” (usted) che in Spagna avevo solo studiato sui libri di grammatica e quasi mai usato, anche se a dire il vero qua si utilizza anche con altri significati (ad esempio al posto di vosotros si usa ustedes); la cosa che mi fa piacere è che la parlata è davvero chiara, molto rilassata, quasi scandita, una cosa che in Andalusia me la potevo solamente sognare.
La casa non è affatto male, devo solo stare attento alla testa, data l’altezza limitata delle porte. Ancora quattro chiacchiere, un po’ di televisione, qualche video su Youtube che Mario jr vuole mostrarmi e, alle 9 di sera (le 4 di mattina per me), sfinito, vado a dormire. Riesco a dormire 12 ore riuscendo così ad attenuare il jet leg.
Alle 9 di mattina di nuovo in piedi, una doccia e la giornata può iniziare (con gli stessi vestiti del giorno prima, quelli nuovi sono nella valigia, in viaggio si spera).
Pancakes e marmellata fatta in casa per colazione con caffè classico americano ad accompagnare il tutto: sarà il mio fedele compagno di viaggio in quest’avventura. Chi ama l’Espresso non può nemmeno vedere questa brodaglia ma io per fortuna non sono schizzinoso.
Si parte per visitare il centro Montecristo percorrendo in pick up i 6 km di sterrato, così polveroso che ti si secca la pelle e la respirazione diventa più faticosa: finestrini quindi rigorosamente chiusi quando si incrocia un’altra auto. Mi dicono però che la strada è molto migliorata rispetto a qualche anno fa. Una volta arrivati, mi presentano al personale di servizio, segretarie e professori.
Alcuni di loro mi rispondono “per servirla” tenendo lo sguardo basso: sembrano più in soggezione di quanto non lo sia io... Faccio un giro esplorativo della struttura, accompagnato prima da Alejandra poi da Fredy. Ci sono 3 aule per la lezione ordinaria (primo, secondo e terzo livello), un salone grande per le presentazioni (con annesse le bandiere di Italia, Europa, Pace e Guatemala), infermeria (con un’infermiera sempre presente e una dottoressa ogni lunedì), laboratori vari, mensa, campo da calcio/basket/volley, orto, un vivaio e una piccola fattoria; ci sono anche tre stanze da letto contigue all’infermeria disponibili ad accogliere eventuali ospiti ma, visto l’isolamento che caratterizza il posto, non insisterò per venirci io. A ogni passo che faccio sento addosso a me gli occhi di tutti. Ma è normale, sono ancora un animale misterioso per loro (non solo per i bambini): la statura poi non aiuta a passare inosservato.
Noto poi una parete con degli attestati, alcuni dei quali di origine italiana come quello di un concorso di disegno in collaborazione con una cooperativa di Brescia. E non posso ignorare la miriade di simboli religiosi: come la madonna in giardino e un enorme rosario attaccato alla parete di un laboratorio.
Presto però finisce il momento relax e si inizia a lavorare: Fredy mi chiede di aiutarlo nelle sue mansioni e, anche per me, la voglia di mostrarmi utile è tanta. Mi porge guanti e cappello da baseball: eccomi pronto per affrontare il sole di mezzogiorno, particolarmente forte qua (se penso che in Italia fa freddo e io sono in t-shirt…!). Prima aiuto lui e l’altro suo assistente nel montaggio di una lamiera di ferro sul tetto di un laboratorio; poi si va tutti e 3 in pick up a raccogliere sassi a valle, al lato del fiume, scendendo per una strada stretta in forte pendenza e guadando il fiume a causa della mancanza del ponte, crollato anni prima; risaliamo e sistemiamo le pietre nella serra adibita ad accogliere farfalle, aiutati in questo da un gruppetto di ragazzini che sembrano entusiasti di svolgere un’attività un po’ diversa dal solito, e curiosi di capire chi sia quel nuovo ragazzo così alto e cosa sia venuto a fare lì da loro. Così, dopo aver spostato le pietre formando una catena umana, rimane un’ultima cosa, ovvero spostare un pesantissimo lavello in pietra infossato nella terra, cosa che riusciamo a fare solamente in quattro e non senza difficoltà.
Le scarpe eleganti che avevo sono tutte piene di terra così come i jeans: spero proprio che la mia valigia sia sull’aereo di Edo.
All’una tutti a tavola dove, nemmeno a farlo apposta, hanno cucinato pastasciutta. Mi colpisce il fatto che “buon appetito” venga detto all’inizio e alla fine, mentre ci si alza da tavola (capita anche di sentire “grazie” come forma di congedo). Quello del pasto sembra davvero un momento importante per loro, qualcosa di sacro che noi ormai consideriamo scontato e che qua non lo è.
Per un attimo mi torna quella sensazione di malinconia provata anche due anni fa, di quando ci si trova soli in un paese straniero, e lontani dai luoghi in cui si è cresciuti e dalle persone care. Terminato il pranzo con un caffè mi siedo al tavolo di uno dei porticati aspettando che Mario arrivi per portarmi all’aeroporto. I bambini che mano a mano passano mi salutano ossequiosamente.
È già ora di partire e lungo la strada impossibile non sentire dossi e crateri, non solamente sulla parte sterrata. Anche i cani randagi non passano inosservati, sono veramente tanti e a volte finiscono sotto un’auto: oggi la carcassa di uno di loro fa mostra di sé sulla Panamericana. Con la luce del giorno si possono poi vedere meglio i vulcani intravisti il giorno prima. Pare proprio che questo paese sia ricco di cose da vedere e non posso che esserne felice.
Edo esce dalla porta del Terminal con le sue valigie rilassato. Niente problemi per lui. Io aspetto che escano gli inservienti con i bagagli rimasti. E dopo un po’ vedo il mio bagaglio arrivare insieme ad altri. Vedo anche che è stato aperto: l’attacco del lucchetto sulla cerniera è rotto e, all’interno della valigia, la roba rimessa dentro un po’ alla rinfusa. Pazienza, l’importante è avere recuperato il tutto. Il giorno dopo era dedicato alla nostra presentazione a tutti gli studenti del Centro: i ragazzini ridono, parlano tra loro guardandoci, ma solo uno vince la timidezza e ci dà il benvenuto dopo che noi abbiamo parlato prima un po’ di noi. Ora siamo della famiglia!
Al Centro c’è sempre qualcosa da fare e il tempo non basta mai: questa volta dobbiamo sistemare il pollaio della piccola fattoria.
Alla fine del pranzo c’è una gradita sorpresa: un bicchiere di Coca Cola o Pepsi per tutti. Andiamo poi fuori a digerire, i ragazzini mi chiedono di giocare a calcio e non mi tiro indietro. Forse avrei fatto meglio a dire no visto che, complice un mio errore, la squadra avversaria segna e vince.
Nell’occasione, però, con Edo ho modo di conoscere Melvin, un simpatico ragazzino che ci spiega come al mattino si alzi prima dell’alba, molto prima di andare a scuola cioè, per allenarsi e quindi potere partecipare a gare di atletica. Passiamo poi il pomeriggio tra il trasloco di tutto il materiale da cancelleria da una parte all’altra del Centro, una buona dose di relax seduti al tavolo del porticato bevendo caffè e familiarizzando con un nuovo Progetto davvero interessante per promuovere una cittadinanza maggiormente attiva degli alunni: due gruppi di studenti si affronteranno durante le elezioni politiche corredate dalla consueta campagna elettorale e sotto la supervisione di un’insegnante.
Il terzo giorno andiamo a vedere quella che sarà la nostra dimora per i prossimi mesi. Sembra una casa troppo grande per sole due persone, ma va bene così. In questo modo si scongiurano i rischi dovuti all’eccessiva vicinanza.
Il tempo di un salto alla cooperativa Katoki, che gestisce il Centro Montecristo e che è situata giusto a lato dell’ufficio ProgettoMondo Mlal, per un infruttuoso tentativo di cambio valuta, e poi via a lavorare.
A essere onesti, in questo caso, l’unico sforzo è costituito dallo scattare foto durante l’attesa finale del torneo di calcio, partita valida per il 3° posto, occasione che ci consente di scambiare impressioni con i ragazzini in tribuna con noi, e di entrare sempre più in confidenza con loro.
Fredy ci racconta di come il Centro venda i propri pomodori al mercato. L’idea ci pare davvero ingegnosa, poi appena ci dice che la sveglia è alle 4 del mattino… Il nostro entusiasmo cala immediatamente e gentilmente decliniamo. Quello che però non possiamo rifiutare è l’incarico dell’acquisto e di trasporto di 24 galline a 60 quetzales l’una (circa 6 euro). L’indomani infatti si va in Centro con il pick up a comprare galline per il pollaio.
Il centro di Chimaltenango è trafficato in modo spaventoso, c’è l’immancabile mercato dove si può comprare di tutto, ci sono venditori per strada (dire “abusivi” parrebbe fuori luogo) e moltissimi negozi, quasi tutti con qualche riferimento religioso, soprattutto nelle scritte. Caricate le galline (Edo è lesto a ributtare nel pick up le avventuriere che tentano la fuga) ci dirigiamo verso il Centro e le trasbordiamo, una a una, dal mezzo al pollaio: se Edo pare sicuro di sé e affidabile, io lo sono un po’ meno anche se alla fine comunque riesco nell’intento.
Prima di passare a prenderci, Fredy ha avuto il tempo di comprare 2 maialini: sono davvero carini ma meglio non affezionarsi troppo, vista la sorte che li aspetta nel giro di pochi mesi…
Prima del pranzo abbiamo il tempo di dividere il mangime delle galline in sacchetti da 4 libbre l’uno, di raccogliere delle piantine di caffè dal bosco e di sistemarle nel vivaio.
Un’attività che finiamo nel pomeriggio giusto poco prima di un acquazzone che renda superfluo il nostro lavoro di giardinaggio: poco male, la pioggia era attesa con ansia da molto tempo.
È venerdì sera, appuntamento settimanale in cui tutta la famiglia Cardenas si riunisce per cena. Non possono mancare nemmeno tortillas e frijoles.
La serata passa tra aneddoti divertenti sull’infanzia di Fredy, Alejandra e Mario jr, e altri molto meno divertenti: Mario jr, aspirante medico, ci racconta del lavoro in ospedale al reparto psichiatrico criminale dove capita che i custodi abusino sessualmente delle pazienti, vendano droga e lascino passare armi ai pazienti-reclusi; ci lascia basiti la storia di un 18enne che ha ucciso 6 giovani tutti sotto i 15 anni e che ha due tatuaggi, una lacrima a fianco dell’occhio (forse a simboleggiare il fatto di essere un assassino) e tre punti posti su una mano (a simboleggiare quello che si è disposti a subire, ovvero l’ospedale, il carcere e la morte). Poco prima di andare a dormire riesco ancora a sentire la storia di un uomo che ha ucciso moglie e figlie spinto da voci che chiedevano un sacrificio umano.
Il sabato pare festa: colazione con uova e ancora fagioli. Micaela ci spiega che i primi giorni avevano fatto un’eccezione per noi, servendo pane, burro e marmellata. La loro vera colazione insomma è quella.
Nel pomeriggio è previsto al Centro un incontro mensile con i genitori degli studenti, un’ottima occasione di conoscerci ma anche di capire ciò che i genitori pensano e si aspettano dai figli e di come interagire con loro in modo più consono.