giovedì 31 gennaio 2013

Mozambico: una tragedia che si ripete

Una quarantina di morti e oltre 150mila sfollati. Sono questi i numeri, spietati, determinati dalle ultime inondazioni in Mozambico. La provincia più colpita è quella di Gaza, a pochi chilometri dalla capitale Maputo.
L'emergenza delle alluvioni nel Paese si ripete bene o male ogni anno. E ancora siamo solo nel periodo delle piogge, mentre  tra febbraio e marzo comincia anche la stagione dei cicloni.
Il problema non sono solo le piogge torrenziali in Mozambico  ma anche quelle in Sud Africa e Zimbabwe.
Il  livello dei fiumi Limpopo e Zambesi infatti si innalzano, e solo quando arrivano a livelli ormai ingestibili i nostri vicini aprono le dighe e tutta l'acqua si riversa con forza in Mozambico allagando tutte le aree intorno a questi fiumi.
È incredibile ma ogni anno si ripete la stessa storia, in maniera più o meno grave. Non c’è comunicazione tra i Paesi, non c’è un coordinamento, ognuno apre e chiude le dighe senza avvisare il Paese limitrofo o facendolo solo all’ultimo momento.
Al problema della mancanza di comunicazione si aggiunge un problema tecnico, ossia la mancanza di manutenzione dei letti dei fiumi e il fatto che molte case sono costruite proprio dove sono più  probabili le esondazioni.
Ad oggi siamo sull'ordine dei 150 mila sfollati nella provincia di Gaza. La città di Choqwe (Gaza)  è completamente allagata, una città fantasma, idem le zone rurali del parco del Limpopo.
Anche nella provincia di Manica 12.729 persone sono state colpite da inondazioni durante le ultime due settimane  e 22 luoghi di culto sono crollati.
Da domenica scorsa ha ricominciato a piovere anche in Zambesia e Nampula (altre provincia del Moz) con forti disagi per la popolazione. In alcune città, come Quelimane, le precipitazioni sono arrivate a 176 mm in un solo giorno. Aumenta il numero delle vittime e con esso anche quello della gente rimasta senza casa, senza niente.
Per sostenere le famiglie colpite dalle inondazioni, l'Istituto Nazionale di gestione dei disastri ha creato due centri di accoglienza, uno nella città di Quelimane e un altro nella città di Licuare, Nicoadala, quartiere in cui sono già alloggiate oltre 120 famiglie.
Sono state inoltre predisposte due navi  per l’evacuazione evacuazione di persone che sono ancora in zone a rischio.
Sempre in conseguenza delle inondazioni, sono state distrutte 14.500 ettari di diverse colture tra cui piantagioni di miglio, mandioca e riso, prodotti alla base dell’alimentazione mozambicana.
Solo in Zambezia sono più di 11000 gli alunni rimasti senza scuola e quindi senza possibilità di studiare.
Unicef, il wfp, altre ong internazionali e nazionali stanno coordinando i campi assicurando cibo, medicine, mosquito net, disinfettanti per l'acqua e condom ma, nonostante questo, sarà molto difficile evitare l’epidemie di colera, tifo e altre infezioni.
Il MISAU (Ministero della Salute) ha inviato 3 epidemiologi e gli attivisti de saude girano i campi facendo sensibilizzazione.
A Maputo città la situazione è decisamente più tranquilla. Si sono aperti dei veri e propri crateri nelle strade ma nulla di più, stessa cosa non si può dire per la periferia che ha sofferto perdita di vite umane e gravi danni in molti bairros.

Giada  Gelli,
ProgettoMondo Mlal Mozambico

venerdì 18 gennaio 2013

Gli studenti di Rovereto imparano a non mangiare da soli

Sono state oltre 40 le classi delle scuole primarie e secondarie di Rovereto e periferia che, insieme a gruppi giovanili parrocchiali, hanno visitato la mostra sul cibo “Io non mangio da solo”, in occasione del Natale dei popoli.
Il percorso didattico e interattivo proposto dalla nostra organizzazione per stimolare l’approfondimento sui temi del diritto al cibo, della sicurezza e della sovranità alimentare nei Paesi del Sud del mondo e su una corretta e più equa alimentazione in tutto il globo, è stato allestito all’Urban Center dal 3 al 23 dicembre.
Una proposta didattica che si basa sull’esperienza attuata in 10 progetti di cooperazione e auto sviluppo, realizzati da ProgettoMondo Mlal in America latina e in Africa.
Nel mondo circa un miliardo di persone non mangia a sufficienza e un altro miliardo di persone rivela invece problemi di salute legati al troppo mangiare. Nel Sud del mondo anche i piccoli agricoltori spesso soffrono la fame perché sono costretti ad abbandonare le loro terre, perché non possono competere con le leggi del mercato globalizzato. Inoltre perdono la possibilità di riprodursi le sementi per la dipendenza dalle multinazionali produttrici delle sementi geneticamente modificate, fertilizzanti e anticrittogamici.
La mostra riassume in pochi pannelli e con semplicità di linguaggio la complessità del tema del cibo e individua le connessioni tra Nord e Sud del Mondo, tra ricchi e poveri, tra chi produce e chi consuma, tra sviluppo e sottosviluppo. Essa aiuta quindi grandi e piccoli a riflettere sulle vere cause della fame del mondo, sugli interessi che ruotano attorno a quello che mangiamo, e a orientare in modo più consapevole i nostri consumi alimentari.
Nel corso delle visite all’Urban Center, noi accompagnatori abbiamo adattato gli stimoli, l’animazione, l’interazione a seconda delle diverse età dei visitatori, seguendo i suggerimenti degli esperti curatori della mostra.
La nostra impressione e anche quella degli insegnanti accompagnatori è che la maggior parte dei ragazzi abbiano potuto scoprire le vere cause della fame e acquisito nuove conoscenze sulla produzione, sulla provenienza, i viaggi e le filiere del nostro cibo.
Raccontare ai giovani l'importanza delle culture alimentari non è sempre facile: non sono molti quelli che a casa o a scuola trattano il tema del consumo equilibrato del cibo secondo la piramide alimentare. L'argomento, pur essendo complesso, è stato affrontato portando esempi concreti che hanno colpito l'interesse dei ragazzi, stimolando la loro curiosità e la voglia di mettersi in gioco e che forse li porterà, un domani, a essere un po' più consapevoli.
Queste tematiche troppo spesso vengono percepite in maniera distaccata e superficiale. Si pensa sempre che le problematiche legate alla malnutrizione o alla denutrizione siano degli aspetti lontani da noi e che colpiscano solamente i territori dei paesi in via di sviluppo.
Uno degli scopi della mostra, oltre a far conoscere le numerose proposte di Progetto Mondo Mlal, è invece proprio quello di riuscire a trasmettere l’importanza di una corretta alimentazione e far riflettere il visitatore sulle scelte quotidiane che noi tutti possiamo intraprendere, poiché ogni nostra decisione ha delle ricadute fondamentali sull’intera collettività.

Federica Manfrini e Michele Toss,
animatori ProgettoMondo Mlal

martedì 15 gennaio 2013

Haiti: Impluvium per mangiare più frutta e verdura

(Mirco Bellagamba da Papaye) - Nel pieno della stagione secca haitiana, sono già 40 giorni che nella zona di Hince, altipiano centrale dell'isola caraibica, non cade una goccia di pioggia. Stando alle previsioni la siccità durerà ancora 3 mesi, tanto che anche i ruscelli si stanno prosciugando.
Il Progetto Piatto di Sicurezza è quindi pronto alla realizzazione di due impluvium: due sistemi per la raccolta di acque piovane che permetteranno di immagazzinare nelle cisterne di 100 m3 ciascuna, l’acqua necessaria per irrigare.
Le scorte di acqua raccolta nella stagione delle piogge permetterà così di coltivare ortaggi per più mesi , da dicembre a agosto, dando la possibilità ai contadini di realizzare fino a due cicli produttivi. Una stagione più lunga vuol dire aumentare considerevolmente la produzione di pomodoro, peperoni, cavoli, insalata, cipolle, porri e peperoncino.
Inoltre l’acqua immagazzinata ci aiuterà a migliorare le produzioni di yucca,patata dolce, e della frutta ( manghi,arance, pompelmi, avocadi, papaye e banana), produzioni fortemente colpite dai lunghi periodi secchi.
Intanto, 3 anni dopo il terremoto ad Haiti, la situazione degli alloggi nel paese resta devastante, con centinaia di migliaia di persone che si trovano ancora in rifugi precari. Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty International, le condizioni di vita nelle tendopoli stanno peggiorando: si registra una forte difficoltà di accedere all`acqua, ai servizi igienici e ai sistemi di raccolta dei rifiuti, circostanze che hanno contribuito alla diffusione di malattie infettive, come il colera.
Come se non bastasse essere esposti all`insicurezza, alle malattie e agli uragani, molte persone che vivono nelle tendopoli sono costantemente a rischio di essere sgomberate con la forza.
Dopo il terremoto, infatti, oltre 60.000 persone hanno subito sgomberi forzati dalle tendopoli.
Sempre secondo Amnesty, le iniziative del governo di Haiti sembrano più interessate a impedire alle vittime del terremoto di vivere in luoghi pubblici piuttosto che a fornire loro alloggi sicuri.
La partenza degli attori umanitari dall'isola e la diminuzione dei finanziamenti hanno infine peggiorato le condizioni di vita nelle tendopoli. Solo una piccola parte dei fondi promessi dai donatori è stata assegnata a progetti edilizi. Per conto nostro, un primo traguardo lo abbiamo raggiunto, con la costruzione, nell'epicentro del terremoto a Léogane, della scuola comunitaria Les Abeilles d’Aspam, prevista dal programma di ricostruzione “Scuole per la rinascita”.

lunedì 14 gennaio 2013

Un impegno di solidarietà per il nuovo anno. Un click di solidarietà che non costa niente

Se non lo hai ancora fatto, hai tempo fino al 10 febbraio 2013 per votare l’iniziativa solidale che ti sta più a cuore sul sito “Il Mio Dono”. UniCredit ha messo in palio 100.000€ per la solidarietà che verranno distribuiti tra i progetti presenti sul sito che otterranno più preferenze.
Esprimere la propria preferenza è semplice e non costa nulla: basta andare sul sito "Il Mio Dono", scrivere il proprio nome, cognome e indirizzo mail. Riceverai via mail un codice da inserire sul link del progetto scelto... Ed ecco fatto!
Con un semplice click potrai scegliere tra i progetti della campagna Io Non Mangio da Solo:

Burkina Faso - Progetto Mamma!  Per sostenere 50 mila madri e altrettanti bambini da 0 a 5 anni nella prevenzione e cura della malnutrizione, promuovendo l'educazione alimentare e rafforzando il ruolo del personale locale dei Centri di Salute Pubblica.
  
Bolivia - Progetto Bolivia Campesina Per creare, al fianco delle Organizzazione economiche contadine (Oecas) un ciclo virtuoso di produzione, trasformazione, commercializzazione e sostenibilità dei prodotti locali, improntato ai principi di sovranità alimentare, tutela del territorio, giustizia sociale ed economica.

Haiti- Progetto Piatto di Sicurezza
Per contribuire al rafforzamento delle Organizzazioni di contadini, donne e produttori locali e per lo sviluppo di sistemi agricoli innovativi centrati su una gestione sostenibile delle risorse naturali e idriche a partire dalle parcelle famigliari

BurkinaFaso - Progetto Amici di Keoogo
Per garantire ai bambini e alle bambine di Ouagadougou, che vivono in situazioni disagiate, l'opportunità di accedere e frequentare la scuola pubblica.

martedì 8 gennaio 2013

La Bolivia più Afro

Una delle caratteristiche più interessanti della Bolivia è sicuramente la sua forte e predominante varietà etnica e culturale. Tra le etnie più importante ci sono quella Quechua (che si trova anche in altri paesi della regione Andina), la Aymara e la Guaranì (quest’ultima presente anche in Brasile).
Queste tre etnie costituiscono senza ombra di dubbio la maggioranza della popolazione boliviana; ma al di là di mere questioni numeriche non va dimenticata la comunità Afroboliviana.
Qualche giorno fa ho avuto la possibilità di conoscere da vicino le interessanti radici culturali di questa comunità, partecipando a un festival di Saya (ballo tipico afroboliviano) in Tocaña, nello Yungas di La Paz, dove è stato festeggiato l’arrivo del nuovo anno. È stata un'esperienza meravigliosa, frutto di un vero e proprio intercambio culturale e di una forte partecipazione di tutti i presenti, boliviani, afro e, come nel mio caso, stranieri. Un’intera giornata di danze tipiche, prelibatezze locali, canti, gioia e voglia di stare insieme al di là delle differenze e del colore della pelle.
La comunità Afroboliviana discende dagli antichi schiavi neri portati forzatamente dai conquistatori spagnoli dalle proprie terre dell’Africa, principalmente dal Congo o dall’Angola, ma anche dal Centroamerica come nel caso delle Antille; questi hanno costituito una importante forza lavoro nelle ricche miniere di minerali, come argento, oro, zinco nelle haciendas, o ancora come servitù di ricche famiglie spagnole. Le condizioni di vita nelle miniere erano durissime, sia per il lavoro in sé, che per le condizioni climatiche e di altitudine a cui tali persone non erano minimamente abituate. Moltissimi morirono a causa di malattie dovute alle esalazioni tossiche a alla durezza del lavoro e degli agenti atmosferici. Si stima che circa 8 milioni di africani e nativi morirono tra il 1545 e il 1825, anno dell’indipendenza della Bolivia. Con la consistente riduzione dei minerali nelle miniere del paese e con l’emancipazione degli schiavi ottenuta nel XIX° secolo, questi si spostarono in massa verso zone più calde del Paese, come lo Yungas nel dipartimento di la Paz. Ciononostante continuando a lavorare come schiavi per i padroni delle haciendas, lavorando nei campi coltivando soprattutto coca, frutta e manioca. Col tempo il lavoro nelle haciendas andò migliorando in favore dei diritti dei neri. Nel 1945 l’allora presidente Gualberto Villarroel promulgò l’importantissimo Decreto Supremo N° 319, che dichiarò l’abolizione dei servizi di schiavitù e servitù, e qualche anno dopo assegnò agli afroboliviani terre in cui ancora attualmente vivono e lavorano in armonia e serenità. Oggi vivono circa 25 mila afroboliviani nei territori dello Yungas, mentre un numero cospicuo vive nelle grandi città come La Paz e Santa Cruz, in cerca di migliori condizioni e remunerazioni lavorative.
Attualmente la comunità afroboliviana vanta forti radici culturali, basate sul patrimonio lasciatole dagli antenati emigrati dall'Africa. Le sue più grandi espressioni culturali si basano sul canto, sulla danza e sulla cucina. La cultura afroboliviana ha deposto le proprie tradizioni all'interno della cultura della Bolivia, e le sue influenze principali sono la Saya, danza oggi ballata in tutto il paese, che rifletteva le preoccupazioni sociali del tempo con versi rima e un gran ritmo africano fatto di tamburi e altri strumenti tipici dell’Africa.
Le lingue e le variazioni dialettiche, la musica, l'atteggiamento e il modo di essere dell’afro-boliviano, restituiscono una speciale miscela di nero, aymara e meticci creoli, con una forte e specifica personalità. Nonostante la forte influenza cristiana, si conservano ancora elementi dei riti Macumba e Vuh-duh, soprattutto in popolazioni di Mururata e Chicaloma, dove alcune tradizioni sopravvivono ancora oggi.
Uno degli impegni del Governo Morales, che ha posto come punto cardine del proprio programma e della propria agenda di governo la difesa dei gruppi nativi e indigeni e delle minoranze etniche, è quello di riuscire ad assicurare maggiori diritti lavorativi e più in generale sociali alla comunità afroboliviana, eliminando le ancora forti componenti razziali presenti nel paese.

Luca Di Chiara
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia

mercoledì 2 gennaio 2013

Qalauma, portavoce dei diritti umani

In occasione del 64° anniversario della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” promossa dalle Nazioni Unite nel 1948, lo scorso 8 dicembre, nella centralissima piazza San Francisco a La Paz, ong e istituzioni rappresentanti della società civile si sono date appuntamento per informare la popolazione sui diritti umani in generale, e su quelli del lavoro, oltre che sugli sforzi che quotidianamente vengono svolti a riguardo. In questa decima edizione dell’evento hanno partecipato ben 27 organizzazioni, tra cui il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef), la Defensoria del Pueblo Boliviana e il Centro di reinserimento sociale per giovani e minori in conflitto con la legge, Qalauma.
Durante tutta la giornata, la partecipazione del pubblico è stata piuttosto forte, raggiungendo un picco nel pomeriggio quando, dopo una breve parola di benvenuto da parte del Defensor del Pueblo, Rolando Villena, si è dato inizio al festival artistico-culturale dove sono intervenute famose band boliviane come “Entre dos Aguas”, “Octavia”, “Uma Nina”, “Ballet Folklorico de La Paz”, “Saya afro-boliviana” e tanti altri. Vale la pena sottolineare che, a metà pomeriggio, sul palco della manifestazione è salito anche Rodrigo: un giovanissimo ex ospite del centro Qalauma, che dopo aver raccontato come la sua vita adesso abbia preso una piega ben differente dalla passata, ha intonato un pezzo rap scritto e pensato da lui stesso per l'occasione.

Rosilde Brizio
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia